Facebook, class action a tutela della privacy

Facebook si trova al centro di una class action che cerca dal gruppo un rimborso per i danni comminati a livello di violazione della privacy dopo il recente cambio di policy. Nelle stesse ore Google Buzz è al centro di simili accuse, tra scuse e imbarazzo
Facebook si trova al centro di una class action che cerca dal gruppo un rimborso per i danni comminati a livello di violazione della privacy dopo il recente cambio di policy. Nelle stesse ore Google Buzz è al centro di simili accuse, tra scuse e imbarazzo

Facebook dovrà fare i conti con una class action. Prevedibile e prevista, trattasi di una azione che prende il via dalle polemiche insorte in seguito al cambio di policy che aveva messo nelle mani degli utenti (secondo alcuni in modo doloso) una più vasta gamma di opzioni per il controllo delle proprie informazioni.

La denuncia è stata depositata presso la District Court for the Northern District della California e contesta nel merito come le modifiche apportate non aumentino, ma in realtà diminuiscano, la tutela della privacy degli utenti. Trattasi di argomentazioni largamente affrontate pubblicamente, ma che ora giungono in tribunale per rispondere alla legge. Secondo l’accusa Facebook avrebbe disegnato la fase di transizione con l’obiettivo specifico di aprire un maggior numero di informazioni alla pubblica visione, riducendo pertanto la segretezza delle informazioni tramite un meccanismo in grado di aggirare la cautela e le attenzioni della community.

Facebook ha approcciato il recente cambio di policy con estrema attenzione, tentando di evitare lo scontro e comunicando anzitempo ogni dettaglio relativo alle modifiche apportate. Nella forma, trattasi di un cambiamento positivo poiché gli utenti hanno avuto a disposizione una dashboard maggiormente completa per l’apertura/chiusura dei propri dati. Nei risultati, però, si è reso evidente come gran parte degli utenti (400 milioni in tutto) non abbia in realtà modificato alcun parametro ritrovandosi improvvisamente con un maggior numero di dati condivisi. Se prima della modifica la condivisione era estesa soltanto a nome, immagine e contatti, dopo la modifica molti utenti si son trovati a condividere senza reale consapevolezza, ad esempio, le proprie foto personali. Il giudice dovrà a questo punto stabili se dolo ci sia stato, se siano state disposte tutte le misure necessarie per la massima informazione degli utenti e se la minor privacy conseguente al cambio di policy possa essere addebitabile ad un errato comportamento del gruppo o piuttosto alla superficialità degli utenti.

Come spesso succede nell’uso dello strumento class action, i 5 utenti che hanno avviato la causa starebbero cercando da Facebook un risarcimento oneroso non meglio quantificato: spesso trattasi di azioni puramente strumentali, che mirano però a dissapori di interesse generale per presentare una minaccia concreta ai legali della controparte. Il tutto mentre, nelle stesse ore in cui la notizia della class action prende forma, anche Google Buzz viene a trovarsi al centro di una bufera mediatica incentrata sulla violazione della privacy.

In quest’ultimo caso arrivano prima le scuse pubbliche da parte del product manager Todd Jackson, il quale sulle pagine della BBC ha fatto ammenda per gli errori registrati ed i brusco approccio all’utenza; contemporaneamente, però, Eric Schmidt si presenta al Mobile World Congress e sminuisce la questione spiegando che nessun vero problema è stato registrato a livello di privacy nonostante i primi passi del servizio non siano stati degni dell’eccellenza del gruppo. I difensori della privacy hanno però già alzato gli scudi: anche in questo caso ci sarebbe poco da stupirsi se venisse ipotizzata una class action sullo stesso stampo di quella già formulata contro Facebook.

Update
Nelle righe precedenti siamo stati facili profeti: la prima class action è già stata depositata, firmata da tale Eva Hibnick la quale cerca un divieto immediato alle attività di Google Buzz più relativa penale “cash”.

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