Effetto HADOPI: la prima condanna

Prima persona condannata secondo le norme dell'HADOPI. Peccato che non aveva fatto nulla.
Prima persona condannata secondo le norme dell'HADOPI. Peccato che non aveva fatto nulla.

Alain Prevost, 40 anni, della Francia orientale, è il primo condannato della storia dell’HADOPI, la discussa legge antipirateria voluta dall’ex presidente Sarkozy sulla quale sembra non calare mai il sole delle polemiche. L’uomo era infatti una delle 14 persone sotto processo frutto del milione mezzo di segnalazioni prodotte da questa legge che l’attuale governo Hollande vorrebbe far sparire. E ne ha ben donde, considerando che in questa prima causa intentata dallo stato contro un cittadino, si è già di fronte a un abuso: l’uomo, infatti, non avrebbe mai compiuto i reati contestati.

Il signor Prevost, un artigiano locale, è stato condannato a pagare 150 euro di multa per aver ignorato i tre avvisi inviati dall’agenzia. Peccato però che l’uomo fosse del tutto ignaro delle competenze necessarie per scaricare illegalmente dei file. Il condannato è soltanto il titolare dell’account ADSL, mentre a scaricare due canzoni di Rihanna è stata la ex moglie: la quale ha confermato sotto giuramento in tribunale, ma non è servito a nulla poiché le responsabilità sarebbero ricadute sul titolare del contratto invece che sul responsabile del fatto (una delle incongruenze più difficili da debellare nella lotta alla pirateria).

In Francia e nella comunità web le battute si sprecano: se questo è il primo caso, c’è da rabbrividire. L’uomo, infatti, nella sua ingenuità, aveva ammesso di non aver bloccato la sua connessione wi-fi, di cui aveva approfittato l’ex consorte, consegnando così all’accusa tutti gli elementi di cui aveva bisogno, altrimenti non avrebbe avuto bisogno di dimostrare che non l’aveva fatto. Lapidario il commento di Jérémie Zimmerman, del gruppo per i diritti digitali La Quadrature du Net, ad Ars Technica:

Questa è pura molestia e intimidazione di questo poveretto che non sa nemmeno cosa gli è successo, e mostra l’assurdità del sistema. In realtà, i casi Hadopi sono completamente privi di qualsiasi prova, con indirizzi IP unici raccolti da società private che nessun giudice potrà mai accettare come validi. […] Il miglior rimedio contro l’Hadopi è dire “io non l’ho fatto”. Se Prevost non si fosse auto-incriminato, non sarebbe mai stato multato.

La cronaca della sua odissea fino alla condanna è decisamente kafkiana. Dopo i primi due avvisi, e in piena causa di divorzio, aveva deciso di staccare Internet dalla propria abitazione. Ancora non sapeva che la futura ex moglie aveva scaricato quelle due canzoni toccando il «terzo strike» nel frattempo, senza sapere di aver ricevuto una mail dall’agenzia Hadopi. Ricevette così una telefonata, che lo intimava di andare a Parigi (costo del viaggio: 100 euro) per dare spiegazioni, ma lui si rifiutò prefendo una convocazione presso la locale stazione di polizia, dove – dopo aver depositato una dichiarazione sul fatto che non aveva mai utilizzato Torrent e altri strumenti di download – si fece pure convincere a pulire il suo pc da una società, pagando 64 euro.

Le rassicurazioni dei poliziotti però erano destinate a cedere molto presto all’Hadopi, che invece ha portato in tribunale l’uomo, che si è presentato senza avvocato pensando di essere solo una persona informata dei fatti. Risultato: sanzione e disconnessione di un mese a una connessione che in ogni caso non ha più, quindi pena sospesa.

La morale è presto detta: la Hadopi sembra fatta apposta per compire le persone tecnologicamente impreparate, non certo pirati consumati: gli esperti sanno come mettere in anonimo la propria connessione o affrontare al meglio un eventuale “terzo strike”.

La Hadopi costa circa 12 milioni di euro all’anno e dà lavoro a 60 funzionari. Questa è la prima condanna effettiva dal 2009.

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