Greenpeace promuove il cloud di Google

Il rapporto "How clean is your cloud?" promuove Google per l'impiego delle energie rinnovabili in ambito cloud, bocciata invece Apple.
Il rapporto "How clean is your cloud?" promuove Google per l'impiego delle energie rinnovabili in ambito cloud, bocciata invece Apple.

“How clean is your cloud?” (in italiano “Quanto è pulita la tua nuvola?”) è il nome del nuovo rapporto pubblicato da Greenpeace in merito alle tecnologie cloud. L’organizzazione ambientalista ha analizzato i dati relativi all’energia impiegata da alcuni big del settore tecnologico per l’alimentazione dei server attraverso i quali ogni giorno gli utenti interagiscono con email, SMS, file e altre forme di comunicazione, stilando una classifica delle realtà più sensibili alle problematiche ambientali: promossa Google.

Alla società di Mountain View è riconosciuto l’impegno nello stilare un programma che, negli anni, ha permesso di ridurre sensibilmente l’impiego di energia proveniente da fonti non rinnovabili, con ovvi benefici in termini di riduzione dell’inquinamento.

Google è stata l’azienda maggiormente disponibile ad affrontare il tema riguardante l’importanza di incrementare non solo l’efficienza energetica degli impianti, ma anche l’utilizzo di energia proveniente da fonti rinnovabili. Il programma pianificato dalla società le ha consentito, ad oggi, di utilizzare per i propri data center un quantitativo di energia pari alla metà rispetto agli standard per questo settore.

L’impegno di Google nell’impiego delle fonti rinnovabili ha stabilito un nuovo punto di riferimento per tutti gli altri protagonisti dell’industria tecnologica.

Come dimostra la tabella allegata, ad oggi il 39,4% dell’energia che alimenta i data center di Google è pulita (“Clean energy index”), il 28,7% deriva da impianti alimentati a carbone e il 15,3% dal nucleare. Hanno fatto di meglio solamente Yahoo! (56,4% da rinnovabili) e Dell (56,3%). Bocciati invece Apple (15,3%) e Microsoft (13,9%), due dei principali concorrenti di bigG, che per potersi fregiare dell’appellativo “eco-friendly” hanno ancora molto da fare.

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