Il gioco delle parti

Il vero 'nemico' di Microsoft sarebbe Linux e non certo Google, nè tantomeno Apple: parola di Bill Gates. Anzi, tra Gates e Jobs scaturisce addirittura una possibilità di incontro che avrebbe del clamoroso.
Il gioco delle parti
Il vero 'nemico' di Microsoft sarebbe Linux e non certo Google, nè tantomeno Apple: parola di Bill Gates. Anzi, tra Gates e Jobs scaturisce addirittura una possibilità di incontro che avrebbe del clamoroso.

Due temi sono emersi con forza nelle ultime settimane: trattare uno o trattare l’altro? Infine è maturata la convinzione per cui le due tematiche, per quanto diverse, viaggiano su binari paralleli. Ed è questo parallelismo, probabilmente, lo spunto interessante. Il primo tema è: comprare ancora (o no) le azioni di Google? Il secondo tema è: Windows su Mac: eresia? Non a caso le due tematiche si chiudono con imponenti punti di domanda che vogliono essere non tanto un interrogativo quanto più una prepotente affermazione: cosa sta succedendo? Quei pochi dogmi che ancora persistevano vanno a farsi benedire nel nome dell’innovazione tecnologica? La situazione è tanto chiara da sembrare confusa. Sono questi i momenti in cui i nodi vengono al pettine, tante convinzioni si dissolvono in tonnellate di aria fritta e qualcuno si toglie la maschera per mostrare la propria vera pelle. Non si pretende di dare una risposta certa e univoca (giammai), ma forse pochi minuti di riflessione possono aiutare a risolvere questo strano Sudoku dell’ICT.

Comprare ancora (o no) le azioni di Google?
Sì, bisogna comprarle ancora: lo dicono 28 analisti su 36 (così Bloomberg ha ripetuto per tutto il weekend a nome di affermati esperti del settore). Il ragionamento relativo al titolo GOOG è di duplice tendenza: da una parte c’è chi lancia anatemi contro una quotazione gonfiatasi eccessivamente (ed eccessivamente in fretta), raggiungendo quote per certi versi illogiche ma senza alcuna apparente sbavatura; dall’altra c’è chi mette uno dopo l’altro tutti i tasselli che costituiscono il quadro positivo previsto per le prossime trimestrali e pone così la domanda opposta: perché mai Google dovrebbe andare in flessione?

Google ha raggiunto oggi la quotazione di 466 dollari circa per ogni azione: un bell’affare per chi ha acquistato sotto i 100 dollari. Chi ha vissuto sulla propria pelle l’infausta fine delle dotcom probabilmente ha abbandonato il Titanic in pieno viaggio con il timore che prima o poi qualche iceberg sarebbe arrivato, ma finora la crociera (o la “luna di miele”, come la definisce Bill Gates) è continuata a pieno ritmo ed in un clima decisamente sereno. Le buone notizie sono arrivate negli ultimi giorni da Merrill Lynch: l’agenzia ha infatti alzato le previsioni concernenti la raccolta pubblicitaria online dal 25 al 27.2% per il 2006. Secondo queste stime internet arriverebbe a fine anno a catalizzare il 5.7% dell’intera raccolta pubblicitaria degli Stati Uniti, entro il 2010 tale quota dovrebbe salire addirittura oltre l’8% e sulla scia di tale trend positivo Google dovrebbe mettere in tasca a fine 2006 un +46% che qualunque analista non può che premiare con lodi sperticate. Le buone notizie, insomma, non si fermano alle prossime settimane, non si fermano ai prossimi mesi, ma guardano lontano.

Ma il mercato azionario è quanto di più labile ci sia: la storia insegna che sulla scia dell’entusiasmo o dei dati statistici qualunque situazione può essere ribaltata in poco tempo, ed una azienda con basi non sufficientemente solide può lasciar evidenziare margini di rischio eccessivi e scoraggiare gli investimenti. Per Google sarebbe un suicidio, a Mountain View lo sanno bene, ed il processo di differenziazione delle entrate è cominciato. E se la “new economy” vuol diventare veramente “next economy” una politica conservativa non sarà sufficiente: Google, in quanto emblema della nuova “generazione di fenomeni”, dovrà andare oltre e sfidare i giganti: faccia a faccia, colpo su colpo.

Windows su Mac: eresia?
Macchè. E’ stata un’eresia finchè la si è volutamente mantenuta eretica, ma se ogni eresia è al suo interno un semplice scontro tra religioni (già la parola religione è in questo contesto il primo inequivocabile segno di distorsione), ecco che una nuova pace interculturale sembra essere alle porte. Ed in questi casi ci guadagnano sempre tutti. Microsoft ed Apple sono due fratelli separati alla nascita, ma con i destini inevitabilmente incrociati. Fisionomia diversa, caratteri diversi, ma entrambi legati ad uno stesso principio che ne mette in comune parte del DNA. Oggi si ipotizza il clamoroso incontro e solo i più stolti potrebbero pensare alla completa impossibilità della stretta di mano tra Jobs e Gates. E infatti sull’argomento c’è più stupore che miscredenza: migliaia di flame vanno a farsi benedire, utenti Windows e utenti Mac dovranno convivere nello stesso androne pur seduti sempre e comunque uno di fronte all’altro con atteggiamenti decisamente simili a quelli del passato: i flame continueranno, così come le religioni e le eresie.

Bill Gates non vuole semplicemente provocare quando afferma che il vero nemico di Microsoft è l’open source e non Google né Apple: Apple è il più abile tra i competitor, ma è un “opposto”-non-“contrario”. Prendendo in artificioso prestito il quadrato semiotico di Greimas (indicativo almeno a livello logico, senza alcuna ambizione esaustiva ed anzi con qualche palese incongruenza che si implora di perdonare), il punto di vista di Microsoft sembra chiaro e utile soprattutto a mettere ordine in quanto sta accadendo: Linux è il “contrario”, Apple l'”opposto”. Ma c’è qualcosa che accomuna Redmond al “think different” di Cupertino (inutile elencare quali principi ne reggono la vicinanza, a partire dalla concezione in dote in tema Digital Right Management), e questo qualcosa potrebbe spingere entrambi i gruppi a cercare per il futuro quantomeno un dialogo. Nessuna eresia, dunque: la stretta di mano è ormai in “Vista”.

Figura 1: Il gioco delle parti

Due binari paralleli
La risposta ai due quesiti precedenti sta nei non meglio definiti rapporti intercorrenti tra Google ed i “giganti”. Che Google stia diventando il contraddittorio di Microsoft sembra chiaro, ma ancora non si capisce su quale terreno di scontro avverrà la battaglia finale (Google Browser e Google OS sono le due fantasie più stuzzicanti, ma tra mille rumor è uscito un Google Pack che al momento sembra né carne né pesce). Che Google sia il contrario di Apple lo si può intuire, ma in questo caso è più chiaro il terreno di scontro (Google Video) che non il reale rapporto di forza nelle ostilità. Cosa è meno lampante, invece, è il rapporto tra Google e l’open source: quest’ultimo sembra essere più un mezzo che non un fine, e dunque qualunque sentenza è lasciata ai posteri: meglio sbilanciarsi solo a carte scoperte.

Tirando le somme, la domanda da porsi è: che ruolo avrà Google nella contrapposizione a Microsoft ed Apple? Chi crede che possa costituire realmente un polo opposto farebbe bene a comprare azioni, perché si configurerebbe una trilogia esplosiva in grado di generare fatturati abnormi con spazio per tutti. Chi crede che Google non riuscirà ad imporsi contro i “giganti” farebbe invece bene a vendere, perché l’iceberg potrebbe essere vicino e, anche se non determinerebbe magari alcun affondamento, rallenterebbe sicuramente la corsa spensierata del motore di ricerca. La sfida è tra aziende, ma soprattutto tra mentalità, modelli, approcci. In questi casi l’unione fa la forza, e la potenza generata da Microsoft ed Apple è un qualcosa di imponente: il loro modello si impone quasi per forza di cose.

Un appunto meramente economico per chi abbia intenzione di comprare: le azioni Google si valutano in dollari, dunque il tasso di cambio determina in gran parte la resa finale del proprio investimento: in economia è meglio ragionare in moneta sonante piuttosto che in bit…

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