Quando la Rete diventa una gabbia

In Cina, chi diffonde o scambia informazioni su Internet rischia la pena di morte. Gli strumenti per i controlli governativi, denuncia Amnesty International, sono messi a disposizione dalle grandi aziende informatiche occidentali.
In Cina, chi diffonde o scambia informazioni su Internet rischia la pena di morte. Gli strumenti per i controlli governativi, denuncia Amnesty International, sono messi a disposizione dalle grandi aziende informatiche occidentali.

Entro tre anni, la Cina diventerà il primo mercato Internet
al mondo. A giugno del 2002, il numero di internauti cinesi ha toccato quota
45,8 milioni, con un incremento del 72,8% in un anno. Ciò nonostante, navigare
può essere in Cina ancora una scelta estremamente pericolosa: la legislazione
introdotta a gennaio del 2001 prevede la condanna a morte per chi
diffonde segreti di stato in Rete. Attualmente, secondo il rapporto sul
controllo statale di Internet in Cina appena rilasciato da Amnesty
International, almeno trenta persone sono detenute dalle autorità di Pechino
per crimini connessi allo scambio o alla diffusione di informazioni su Internet.
E la responsabilità di questo, denuncia Amnesty, ricade anche sulle spalle
delle aziende occidentali che forniscono la tecnologia ai provider cinesi.

«Compagnie straniere, tra le quali Websense e Sun
Microsystems, Cisco Systems, Nortel Networks e Microsoft, secondo quanto riferito
hanno fornito importanti tecnologie che permettono al governo cinese di censurare

Internet», si legge nel rapporto dell’organizzazione, secondo la quale, invece,
«le multinazionali che operano in Cina hanno il dovere di contribuire alla
promozione e alla protezione dei diritti umani fondamentali».

Una responsabilità della quale le aziende coinvolte sembrano
non voler sapere: «Sono i nostri clienti a determinare gli utilizzi
specifici di questi prodotti», ha dichiarato al San Jose Mercury News un
portavoce di Cisco Systems. Gli ha fatto eco Microsoft, che si è detta «concentrata
nel mettere a disposizione alla gente di tutto il mondo la tecnologia migliore»,
ma incapace di «controllare il suo uso finale».

Non è la prima volta che il rapporto tra il governo cinese e
gli operatori stranieri fa discutere. A luglio, circa 300 operatori hanno
firmato una “Garanzia Pubblica di Autodisciplina” redatta dalla Internet
Society cinese nella quale ci si impegna a «desistere dal produrre, pubblicare
o diffondere informazioni perniciose che possano mettere a rischio la sicurezza
dello stato o compromettere la stabilità sociale, violare le leggi e le regole
e diffondere la superstizione e l’oscenità». Il documento è stato firmato anche
da Yahoo!, i cui dirigenti si sono giustificati dicendo che il portale si
adatta
alle leggi dei paesi in cui opera.

Malgrado tutto questo, Amnesty
si dice convinta che, alla fine, la carica democratica delle nuove
tecnologie avrà la meglio sull’oscurantismo del regime cinese, anche
considerando l’orientamento sempre più deciso del governo di Pechino verso il
mercato e l’importanza di Internet nell’economia globalizzata: «La nuova
tecnologia è una pietra angolare per la crescita economica in un paese che
conta un quinto della popolazione mondiale», si legge nel rapporto. «Con
la crescita dell’importanza di Internet cresceranno anche i milioni di utenti e
la domanda di giustizia e rispetto dei diritti umani in Cina».

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