La RIAA sotto attacco

Crescono le iniziative contro l'industria musicala americana e mondiale. Al terrore delle denunce si risponde con dure campagne di informazione per screditare le major. Il caso di Downhill Battle
Crescono le iniziative contro l'industria musicala americana e mondiale. Al terrore delle denunce si risponde con dure campagne di informazione per screditare le major. Il caso di Downhill Battle

«Le 5 grandi compagnie musicali non favoriscono la musica. Costruiscono il loro consorzio su un sistema paludato, fatto di patti per la registrazione dei dischi, pagamenti alle radio, e controllo sui prezzi degli album. Tengono fuori la porta gli artisti che non accettano le loro condizioni e usano il loro potente monopolio per marginalizzare le etichette indipendenti. […] Tutto ciò è dannoso per i fan: ogni anno la radio diventa peggiore, i CD costano di più e da ora ci si trova ad avere i computer spiati. È tempo di terminare la stretta mortale delle major su radio, musicisti e tutti coloro che amano la musica.»

Un attacco al cuore della RIAA, sferrato nel più duro dei modi. Così si presentava lo scorso Agosto Dawnhill Battle, un sito nato a pochi giorni dalle denunce della RIAA contro gli utenti dei sistemi di file sharing americani. Da allora il sito è diventato il punto di riferimento per coloro che si oppongono allo strapotere delle cinque maggiori case discografiche americane.


Articoli quotidiani, informazioni, un servizio di raccolta fondi per gli adolescenti denunciati dalla RIAA, lo sviluppo di un software per il file sharing anonimo, campagne di comunicazione a 360 gradi: così si combattono i grandi.


Downhill Battle è stato fondato da Holmes Wilson e Nicholas Reville ed è subito diventato un punto di riferimento per chi si oppone alle politiche restrittive delle major musicali e per chi cerca un nuovo modo di concepire il copyright. Assieme a P2PNet e a Boycott-RIAA, sono i principali attivisti di un movimento che si vuole liberare la musica dai controlli di BMG, Sony, Universal, EMI e Warner che da sole controllano la quasi totalità del mercato musicale. Il fine principale non è quello di legalizzare lo scambio di file musicali, ma quello di favorire, anche attraverso gli strumenti telematici, lo sviluppo di etichette indipendenti, nate e cresciute al di fuori del circo maggiore.


Campagne online e eventi ad alto effetto, forum e affiliazioni di siti. Gli strumenti utilizzati dagli attivisti sono concentrati attorno alla rete. Per ogni evento e per ogni battaglia nasce un sito, una nuova pagina che si diffonde a macchia d’olio con il tam tam dei newsgroup, dei blog e delle mail. Alcune campage sono memorabili.


Sull’onda dell’entusiasmo per iTunes, DownhillBattle crea una pagina stile Apple che accoglie l’utente con un provocante «iTunes Music Stores. Lifting per un’industria guasta» e giù paragrafi di spiegazione per denunciare che non è vero che Apple aiuta gli artisti perché solo pochi centesimi del fatturato di iTunes finiscono nelle tasche dei cantanti, che non è vero che i CD costano meno su iTunes perché anche su Amazon se ne possono trovare di usati e perfettamente funzionanti a 5 dollari (contro gli 8-12), che la musica ricevuta attraverso iTunes è compressa con un formato “lossy” e dunque perde tutte le sottigliezza della musica originale. iTunes, spiega Downhill Battle, fa lo stesso gioco delle case musicali, concedendo al musicista solo pochi spiccoli del suo lavoro.


Cosa fare se durante le feste di Natale ti hanno regalato un CD che avevi già scaricato da Internet? La strisica di What a Crappy Present (che si può rendere con un “Che schifo di regalo!”), creata sempre dagli autori di Downhill Battle, ha fatto il giro del mondo. Viene rappresentata un ragazza che a Natale riceve in regalo un album che aveva già scaricato da un programma di File Sharing. Cosa fare del CD? Il consiglio di Downhill Battle: torna al negozio di dischi dove tua madre lo ha coprato, mostrati triste e chiedi di cambiare il CD con un bel pacco di CD vuoti pronti da essere riempiti.


Sempre grazie a Downhill Battle è nata la Stop RIAA Lawsuits coalition, un’assosciazione che ad oggi conta quasi duecento siti e che si propone di condurre una campagna di boicottaggio contro la RIAA, denunciando ad ogni pie’ sospinto le ingiustizie dell’associazione musicale e fornendo pubblicità e visibilità alle piccole case discografiche indipendenti.


Sostenere una causa in tribunale, secondo i dati riportati da UsaToday, può costare dai 75 ai 100 mila dollari, mentre un patteggiamento può arrivare sino a 5 mila dollari e su Downhill Battle si può paretcipare alla raccolta di fondi a favore delle persone denunciate dalla RIAA per violazione del diritto d’autore.


Ai progetti principali se ne aggiungono altri di contorno. Sul sito RIAAradar.com si può verificare se un disco è stato prodotto da una casa discografica appartenente alla RIAA in modo da evitarne l’acquisto. La “In-Store Stickering Campaign” sprona gli utenti di musica a recarsi nei grandi magazzini americani per appiccicare sui CD prodotti dalle major un grande adesivo rosso con la scritta “Attenzione: comprando questo CD si finanziano processi contro bambini e famiglie”. Una Flyer Campaign permette a chiunque di scaricare volantini e poster, tutti immancabilmente contro la RIAA, e di distribuirli per strada.


Lo scontro fra l’industria musicale e gli utenti, rappresentati da associazioni di diverso stampo ed estrazione, è sempre più netto. La prima mossa delle major è stata delle più dure: una campagna di criminalizzazione degli utenti fondata sul terrore e sulla spinta emotiva delle crescenti denunce. La risposta altrettanto dura: la RIAA è dipinta come un’associazione che sfrutta i singoli autori per favorire le proprie pratiche monopolistiche. Forse nessuna delle due parti può accudire la verità, fatto sta che la musica è un terreno di scontro privilegiato per molti nodi imposti dallo sviluppo delel reti telematiche e le risposte spinte con il terrore dovranno ben presto lasciare il posto a discussioni reali.

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