Mostri stereoscopici nella Torino capitale del cinema digitale: VIEWFest 2008

Quando le luci si sono abbassate, mi sono girato per guardare le file di platea alle mie spalle: la sala era gremita, e quel centinaio di spettatori indossanti identiche paia di grossi occhiali mi ha fatto sentire in una di quelle foto di cinema americani anni Cinquanta, all’epoca del primo tentativo – andato ben presto fallito – di cinema 3D stereoscopico, quando ancora tutto era pellicola, i due proiettori accoppiati non riuscivano a mantenere il sync, e finiva che l’effetto era più di malditesta che d’iperrealismo.

Poi, al partire dei titoli di testa già decisamente tridimensionali, mentre la sala era percorsa da risatine nervose e gridolini di eccitazione, non ho potuto fare a meno di ripensare allo scambio di vedute avuto con Gabriele Niola qui su Webnews nei commenti a un suo recente post sull’imminente vague stereoscopica hollywoodiana: attrazione da luna park di corto respiro o rivoluzione linguistica?

D’istinto, senza ancora mai visto nulla del nuovo 3D digitale, propendevo per la prima ipotesi. Domenica pomeriggio, al Cinema Massimo di Torino, all’inizio della proiezione digitale stereoscopica del film in CG Beowulf di Robert Zemeckis (prod. DreamWorks) organizzata dal digital movie festival VIEWFest 2008 (5-8 giugno), forse stavo per trovare la risposta.

E l’ho dunque trovata? Sì, ma non definitiva.

Ovvero: la nuova tecnologia di 3D stereoscopico digitale è effettivamente impressionante ed efficace oltre le mie aspettative: nella prima mezz’ora di film la sala era preda di una divertente e contagiosa eccitazione bambinesca.

Poi però ci si abitua, gli occhialoni cominciano a pesare sul naso, ci si ritrova impazienti ad aspettare il numero, la scena madre, quella dove il 3D fa i fuochi d’artificio. E ci si rende conto di quanto tutto ciò interferisca con la percezione del film, della sua storia, dei suoi significati e dei suoi aspetti artistici.

Questo però potrebbe essere dovuto soltanto alla novità: quando ci abitueremo a questo diverso modo di fruire visivamente una storia, tutto tornerà a saldarsi in un’esperienza estetica di nuovo omogenea. Forse.

E potrebbe essere causato anche dalla qualità del film: perché Beowulf, che pure contiene alcune scene e aspetti interessanti, è tutto sommato una sostanziosa tamarrata non esente da momenti piuttosto ridicoli.

Davvero, per una risposta definitiva temo toccherà attendere Avatar di James Cameron, il film che con ogni probabilità farà testo sulle fortune future del cinema tridimensionale.

VIEWFest, dicevamo: che è la neonata protuberanza festivaliera estiva della prestigiosa VIEW Conference (sempre a Torino ma in novembre) ovvero di uno dei più importanti appuntamenti internazionali, insieme al siderale SIGGRAPH, a Imagina e a pochi altri, dedicati al mondo della produzione delle Computer Generated Images in tutte le sue declinazioni (cinema, animazione, film d’arte, applicazioni industriali, design, videogames etc).

E se non ci credete, date un occhio a questa microgalleria di personaggi che è stato possibile incontrare alla VIEW Conference 2007: Glenn Entis (cofondatore di PDI, poi presidente Dreamworks Interactive, e attualmente vicepresidente di Electronic Arts), Sharon Calahan (Pixar, direttrice della fotografia di A Bug’s Life, Toy Story 2, Finding Nemo e Ratatouille), Grant Major (Weta Digital, candidato a quattro premi oscar per il production design de Il Signore degli Anelli e King Kong), Ken Perlin (New York University, già nella crew del pionieristico Tron, poi premio Oscar 1997), eccetera eccetera.

Tipi che al SIGGRAPH pagate centinaia di dollari magari per sentirli parlare proiettati su uno schermo (che l’accesso alle sale è spesso riservato ai VIP), e che a Torino, grazie alla vulcanica attività organizzatrice del deus ex machina di VIEW, la professoressa Maria Elena Gutierrez, incontrate gratuitamente, e con cui magari proseguite la discussione bevendo un caffè al bar.

(Ma come? – diranno forse alcuni di voi – Ma se è così importante perché non ne ho mai sentito parlare? La risposta è facile, ed è tutta intorno a noi: siamo in Italia, dove l’industria dell’audiovisivo, in special modo CGI, è arretrata e frammentata, e dove, di conseguenza, il peso mediatico di questo genere di eventi è piuttosto scarso, mancando nei media stessi la volontà e soprattutto la capacità culturale di parlarne. E mancando, anche, piccolo particolare, un solido tessuto di media specializzati. Ma le cose stanno cambiando: lentamente, ma cambiano).

Se VIEWConference è dedicata soprattutto a convegni di studio e incontri, l’appena trascorso VIEWFest è la sua appendice festivaliera, fatta di proiezioni, incontri con registi, mostre, feste.

Per citare solo le cose che mi hanno colpito di più: certo le retrospettive su registi hype di videoclip e commercial come Happy e Chris Milk (presenti in sala), certo l’Electronic Theatre del SIGGRAPH 2007 (ovverosia la raccolta di video che esprime la summa del massimo appuntamento mondiale dedicato alle CGI), ma soprattutto le antologie di corti di animazione The Animation Show of the Shows e Artfutura Show, il meglio dei corti di animazione 3d e tradizionali mondiali, una vera gioia per gli occhi (hint: fate in modo di procurarvi l’innovativo e folle corto in stop-motion Madame Tutli-Putli: è un lavoro piuttosto impressionante).

Un piccolo discorso a parte merita l’Italian Mix, una raccolta di lavori italiani a cura del VIEWFest estremanente eterogenea (cortometraggi di animazione, film studenteschi, sperimentazioni di varia natura, spot, lavori professionali etc): raccolta che ho in una piccola frazione aiutato a curare, e di cui son stato invitato a moderare l’incontro post proiezione con alcuni degli autori. Selezione, fatto encomiabile, che girerà una rete di festival internazionali gemellati col VIEWFest.

Selezione a mio modo di vedere significativa ma non ancora esaustiva: molto frammentaria, con grandi sbalzi di qualità (e tra le sorprese ci metto senza dubbio i corti di animazione che stanno uscendo dal Centro Sperimentale di Cinematografia: rispetto a quelli che avevo visto negli anni scorsi, davvero un grande salto di qualità – il gap con le blasonatissime scuole francesi come Supinfocom e Les Gobelins si sta finalmente colmando).

E selezione forse anche un po’ troppo poco selettiva – non foss’altro che per il bene dello spettatore, ché tre ore di proiezione senza pause di film in buona parte sperimentali rappresentano una bella prova di resistenza!

Selezione che, nei suoi pregi e nei suoi difetti, testimonia fedelmente la peculiarità della scena italiana: che è appunto il suo non essere “scena”, scambio, terreno comunicativo condiviso, ma piuttosto un insieme di frammenti, di schegge, di isole produttive, di realtà formative isolate, di aziende lontane e in competizione, di artisti indipendenti, ok, ma pure troppo. E dato questo quadro, si capisce quanto sia difficile identificare le tendenze in atto e raccoglierne i frutti più maturi: che pure ci sono, e cominciano a essere tanti.

Ed è anche per questo che iniziative come VIEW sono importanti, e vanno coltivate e fatte crescere: non solo perché sono occasioni di visibilità, ma soprattutto perché sono momenti dove ci si incontra, si scambiano saperi e conoscenze, si tessono relazioni, si instaurano collaborazioni e ci si può interfacciare con il panorama internazionale.

E tutto ciò, che lo si voglia o no, è l’unico modo per liberare definitivamente la scena audiovisiva digitale italiana da quelle secche che l’hanno tenuta ferma per anni.

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