Facebook e l'illusione della privacy

In un recente studio, alcuni ricercatori di Google sottolineano come gli utenti percepiscano livelli di privacy molto più alti rispetto a quelli realmente offerti dai social network. Tale condizione espone a un'anomala esposizione dei dati riservati
In un recente studio, alcuni ricercatori di Google sottolineano come gli utenti percepiscano livelli di privacy molto più alti rispetto a quelli realmente offerti dai social network. Tale condizione espone a un'anomala esposizione dei dati riservati

I social network contribuiscono alla creazione di una percezione errata sulla privacy da parte degli utenti. Sembrano non avere molti dubbi in proposito i ricercatori di Google, Monica Chew, Dirk Balfanz e Ben Laurie, che hanno recentemente condotto una ricerca sui problemi legati alla riservatezza sollevati dall’utilizzo dei nuovi portali sociali online. Siti come Facebook e MySpace esporrebbero numerose informazioni sul privato degli utenti, convinti invece di avere il massimo controllo sulla diffusione delle loro informazioni in Rete.

Secondo i ricercatori di Google, la difficile gestione dei sistemi di aggiornamento delle attività online connesse al proprio account comporterebbe non pochi rischi legati alla privacy. Le informazioni sulle azioni più recenti compiute all’interno dei social network vengono generalmente condivise in maniera automatica con i propri contatti. Gli utenti meno esperti spesso non hanno una piena consapevolezza sul principio di funzionamento di questi meccanismi, così come non conoscono precisamente il bacino di utenti che possono accedere alle informazioni sulle loro attività online.

Il quadro si complica ulteriormente quando i meccanismi di aggiornamento automatico delle attività vengono anche utilizzati a scopo promozionale. Nel loro rapporto, i ricercatori di Google sottopongono l’esempio di Beacon, il sistema di advertising utilizzato da Facebook. Attraverso questo sistema, il social network invia messaggi pubblicitari all’interno dei resoconti delle attività degli utenti online, creando non poca confusione tra gli iscritti al portale, talvolta incapaci di distinguere le reali informazioni dai semplici annunci pubblicitari. Una condizione che recentemente ha spinto Facebook a rivedere il meccanismo di Beacon, fornendo maggiori opzioni agli utenti per regolarne il funzionamento.

La mancanza di sufficienti informazioni sulle opzioni a disposizione degli utenti per preservare la loro privacy si registra anche in altri servizi, come coComment e lo stesso Google Reader. Nel report compilato dai ricercatori di Google viene sottolineato come spesso gli utenti condividano commenti e contenuti con la convinzione di rivolgersi a un ristretto gruppo di amici, mentre invece la mancata configurazione dei filtri per la privacy espone le loro attività online alla visualizzazione da parte di molte più persone. In questo senso, i nuovi servizi del social web sembrano costruire una percezione sulla privacy ben diversa dalla realtà, traendo così involontariamente in inganno gli utenti meno attenti.

La privacy degli utenti può vacillare anche a causa dei link non desiderati verso i loro spazi sui social network. Spesso chi possiede più profili online non ha desiderio che gli stessi siano messi in relazione tra loro poiché la Rete favorisce la creazione di più porzioni di una medesima identità, magari anche profondamente in contraddizione tra loro. Banalizzando molto, e seguendo l’esempio riportato dai ricercatori di Google, chi è appassionato di armi e giardinaggio non ha magari piacere che il gruppo di amici con cui condivide le impressioni su pistole e fucili venga a contatto con il gruppo di utenti con i quali scambia consigli e impressioni per coltivare le rose.

Mantenere separate le due attività significa dover mascherare la propria identità, ma un semplice trackback inviato al proprio blog da una vecchia amica appassionata di floricoltura e che conosce la reale identità dell’utente può mandarne rapidamente in fumo l’anonimato. Una volta messo in relazione il blog con il suo reale proprietario qualsiasi internauta, con un minimo di esperienza, potrà ricostruire le altre identità presenti in Rete, vanificando qualsiasi sforzo per mantenere un minimo di privacy. Il disvelamento dell’identità può, inoltre, avvenire attraverso altri servizi sociali tipici del Web 2.0 come i sistemi per la condivisione dei video, delle fotografie e di altri contenuti multimediali. Un link accidentale o un semplice tag possono aprire la strada a un rapido riconoscimento.

Per i ricercatori di Google, comunque, il maggior rischio deriverebbe dai recenti sistemi sviluppati per aggregare in un unico sito tutte le attività svolte sui diversi servizi sociali del Web 2.0. Fondendo insieme profili e attività, questi aggregatori mettono spesso in correlazione tra loro anche i contatti posseduti da ogni utente sui diversi social network. Ciò espone indirettamente gli utenti a una riduzione della loro privacy online senza esserne consapevoli.

L’esempio offerto dalla ricerca espone efficacemente tale condizione: «Supponiamo che Alice abbia un alter ego, Vinylgirl, e anche Bob ne abbia uno, Leatherboy. Alice e Bob sono in contatto su un sito come Facebook o LinkedIn, mentre Leatherboy e Vinylgirl sono anche amici su un sito web per chi ha abitudini sessuali “diverse”. Bob (o magari il suo aggregatore) potrebbe correlare Alice con Vinylgirl ma la stessa potrebbe non essere felice che Bob venga a conoscenza di questa correlazione, ma soprattutto di avere un’informazione del genere pubblicata su un sistema per aggregare i contenuti dei social network online». L’identità di Alice è stata così sostanzialmente svelata senza che la stessa avesse autorizzato tale eventualità.

L’esempio dimostra come i nuovi sistemi sociali offerti dal Web 2.0 possano in alcuni casi minare la riservatezza degli utenti, che non sempre hanno sufficienti strumenti o conoscenze per arginare la crescente pervasività dei social network. Il costante aumento di utenti, come nel caso di Facebook che ha da poco superato i 150 milioni di account, accresce il possibile disvelamento delle idendità e dell’anonimato ricercato da numerosi internauti online. Alcuni accorgimenti possono, però, alleviare il problema.

Secondo i ricercatori di Google un sistema di aggiornamento maggiormente puntuale sulle attività svolte sui social network potrebbe accrescere la consapevolezza, su rischi e opportunità, da parte degli utenti. I portali sociali dovrebbero dunque fornire più informazioni ai loro iscritti, esplicitando con chiarezza le tipologie di contenuti che saranno veicolati attraverso gli “activity stream” e dunque resi pubblici e visibili agli altri contatti. Gli sviluppatori dei social network dovrebbero poi elaborare filtri più efficienti, consentendo così agli utenti di selezionare una determinata gamma di attività da condividere escludendone altre. La possibilità di eliminare alcuni eventi anche dopo la loro pubblicazione, sistema adottato in parte da Facebook, potrebbe semplificare non poco l’esperienza d’uso per gli utenti.

I social network dovrebbero poi fornire valide informazioni sul bacino di utenti raggiunti dai sistemi di aggiornamento automatici delle attività. Ciò potrebbe consentire la creazione di filtri ad hoc per mantenere distinte le informazioni accessibili dai differenti contatti, distinguendo magari tra gruppi di amici e gruppi di lavoro o semplici conoscenti online. Tali soluzioni potrebbero migliorare l’offerta dal lato della tutela della privacy sia sui social network sia sui sistemi di condivisione di contenuti, riducendo la possibilità di sgradevoli sorprese.

Per attenuare gli effetti legati ai link indesiderati, il team di ricerca di Google suggerisce l’implementazione di nuove soluzioni legate a URL e trackback. Un sistema in grado di fornire automaticamente le preferenze espresse da un blogger per i link verso i suoi contenuti potrebbe aiutare gli utenti a comprendere se il loro link/trackback possa minare l’anonimato di qualcuno online. In attesa di soluzioni di questo tipo, tecnicamente non semplici da realizzare e diffondere, i ricercatori di Mountain View auspicano: sistemi più rapidi e semplici per limitare l’uso dei trackback e la possibilità di creare più identità con un medesimo account sui siti di condivisione come Flickr.

Infine, gli aggregatori di contenuti provenienti da più social network dovrebbero contemplare filtri maggiormente evoluti, scongiurando così la possibilità di rivelare involontariamente le diverse identità online di un medesimo contatto. Gli aggregatori dovrebbero inoltre fornire maggiori informazioni sulle possibili conseguenze delle azioni degli utenti, rendendo il loro utilizzo più semplice e maggiormente consapevole.

Lo studio proposto dai ricercatori di Google dimostra chiaramente come si sia verificato un sostanziale scollamento tra il livello di privacy percepito dagli utenti sui social network e il livello reale di riservatezza offerto loro. Secondo la ricerca, per ridurre sensibilmente l’incongruenza rilevata gli sviluppatori dei social network dovrebbero prevedere nuovi meccanismi per avvicinare i livelli di privacy reali a quelli percepiti dagli utenti, rispondendo dunque alle loro esigenze.

Applicando le soluzioni proposte, ovvero filtri maggiormente precisi, sistemi più trasparenti per la gestione dei propri contatti e un maggiore controllo da parte degli utenti, i problemi finora riscontrati legati alla privacy potrebbero essere sensibilmente ridotti. Gli iscritti ai social network non potranno, però, fare affidamento su semplici principi di precauzione e una maggiore attenzione nella gestione delle loro attività online. Lo spunto di miglioramento, e in alcuni casi di rinnovamento, dovrà passare direttamente dalle aree di sviluppo dei social network, chiamati alla difficile sfida di bilanciare le istanze di riservatezza con la voglia di comunicare e condividere degli utenti.

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