Copyright, monta la protesta contro l'UE

L'Istituto per le Politiche dell'Innovazione si accoda agli altri Centri di Ricerca Europei già firmatari di un documento che verrà presentato al Parlamento Europeo per fermare la direttiva che vorrebbe allungati i tempi di copyright da 50 a 95 anni
L'Istituto per le Politiche dell'Innovazione si accoda agli altri Centri di Ricerca Europei già firmatari di un documento che verrà presentato al Parlamento Europeo per fermare la direttiva che vorrebbe allungati i tempi di copyright da 50 a 95 anni

«Il 23 marzo 2009 il Parlamento Europeo dovrà votare sulla proposta di una direttiva finalizzata ad
estendere i diritti connessi relativi ai fonogrammi. Tale estensione da 50 a 95 anni (o in alternativa a 70 anni) è destinata a nuocere all’Europa tanto sul piano economico quanto su quello culturale». Inizia così un comunicato ufficiale (diramato dai Centri di Ricerca Europei e co-firmato dall’Istituto per le Politiche dell’Innovazione (IPI). Tutto verte attorno alla Proposta di direttiva COM (2008) 464/3, un testo già contestato su più piani per i possibili danni arrecati al mercato a seguito di un ulteriore allungamento dei tempi per il diritto d’autore.

L’IPI, peraltro già attiva con la provocatoria iniziativa “Internet per i parlamentari“, scende in campo e chiama a raccolta quanti seguono attivamente la vicenda affinché la norma possa non diventare legge comunitaria. I motivi sono elencati con chiarezza (pdf ed enunciano tra le righe una certa qual malafede intrinseca ad una legge mal formata e priva di oggettivi vantaggi per il mercato: «In realtà, tale estensione è destinata a nuocere tanto sul piano economico quanto su quello culturale. Essa gioverebbe esclusivamente alle principali case discografiche multinazionali che detengono il controllo sui fonogrammi di maggiore successo tra quelli registrati negli anni sessanta (Universal, Warner, Sony ed EMI). Peraltro, una simile decisione determinerebbe inevitabilmente una redistribuzione dei ricavi, a tutto discapito degli artisti esecutori ancora in vita. Inoltre, i relativi costi aggiuntivi – stimati in più di un miliardo di euro – ricadrebbero interamente sulle spalle dei consumatori, per i quali l’opzione della pirateria potrebbe apparire ancora più accettabile di quanto non appaia già adesso».

Non era difficile prevedere la posizione dell’IPI, un istituto che descrive la propria ragion d’essere nel fatto che “L’innovazione è un bene comune: «È questa la constatazione alla base della nascita di un Istituto per le politiche dell’Innovazione. Tutti abbiamo il diritto e dovere di ambire a vivere in – ed ad un tempo di contribuire a formare – un contesto politico, sociale ed economico nell’ambito del quale l’innovazione sia protagonista positiva e non solo un fattore determinate del più ampio fenomeno consumistico. L’innovazione è un processo culturale prima che tecnologico e, quindi, prima di innovare occorre individuare, tracciare e delineare le linee e le politiche dell’innovazione».

In ossequio alla propria mission, ed in seguito ai presupposti enunciati dalla protesta portata avanti dai Centro di Ricerca Europei, l’IPI non si tira pertanto indietro ed alza la voce contro la Proposta di direttiva COM (2008) 464/3: «Per tali ragioni, l’Istituto per le politiche dell’innovazione si associa alla comunità scientifica europea che sta esprimendo in questi giorni il proprio parere negativo, auspicando che il Parlamento Europeo e ciascun governo degli Stati membri dell’Unione Europea considerino con attenzione i risultati elaborati da studi indipendenti in merito agli effetti dell’estensione proposta e, conseguentemente, si decidano a bocciare la direttiva nella forma in cui viene attualmente proposta».

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