La Chiesa e la Rete

Un importantissimo documento rende manifesto l'approccio odierno della Chiesa nei confronti del Web. E trapela un'apertura insospettabile, una curiosità lucida ed una forte convinzione nell'identificare la Rete come nuova immensa fucina di cultura
Un importantissimo documento rende manifesto l'approccio odierno della Chiesa nei confronti del Web. E trapela un'apertura insospettabile, una curiosità lucida ed una forte convinzione nell'identificare la Rete come nuova immensa fucina di cultura

L’intelligenza sta nel cogliere le novità, senza pregiudizi. Una azienda intelligente, oggi, capisce che la Rete è il futuro e che non è soltanto una questione formale: occorre capire lo strumento, occorre immergervisi a fondo. Una azienda intelligente dovrebbe iniziare a guardarsi attorno, carpire i primi spunti, fidarsi di chi se ne intende ed abbracciare la sperimentazione. È questo un passaggio difficile, perché significa mettersi in discussione profondamente e ripensare il proprio modo di essere al mondo. Ma una azienda intelligente lo sa fare. Una azienda intelligente, non può fare a meno di leggere le tre pagine che seguono. Questo perché si tratta di un estratto di estrema rilevanza da una sorta di documento programmatico che un’altra “azienda” di grande prestigio ha composto per esprimere a sé stessa la volontà di capire la Rete per sapervisi rapportare. E trattasi di un nome che ha fatto fino ad oggi della tradizione le propria fondamenta, ma che nel tempo ha sempre saputo ripensarsi (pur con tempi suoi) e che oggi sta nuovamente compiendo il grande passo: la Chiesa.

«La proclamazione di Cristo richiede una profonda conoscenza della nuova cultura tecnologica»: con queste parole Papa Benedetto XVI ha posto il proprio sigillo alla posizione della Chiesa nei confronti del Web. Si tratta di un semplice saluto al termine dell’Angelus domenicale (peraltro queste semplici brevi parole sono quelle che hanno riempito tutti i media nazionali nei giorni scorsi), ma il cenno del Pontefice racchiude l’intero approfondimento portato avanti dall’Assemblea plenaria della Commissione episcopale europea per i Media (Ceem) sul tema “La cultura di Internet e la comunicazione della Chiesa”. Ed è in questa sessione che sono emersi i contenuti più importanti, poiché racchiudono l’ultima grande evoluzione di una Chiesa sempre più interessata in quello che la Rete va a rappresentare per il futuro del culto, della società e della società.

Internet è cultura

Grazie al sito di Radio Vaticana è possibile raccogliere alcuni dei passaggi più interessanti dell’intervento del cardinale Josip Bozanic, arcivescovo di Zagabria e vicepresidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (Ccee). Con una nota introduttiva che racchiude il centro degli obiettivi preposti dall’assemblea: «Internet non è solo un recipiente che raccoglie diverse culture. Internet è cultura. Internet produce cultura. E allora appare evidente chiedersi quale rapporto intrattiene questa “nuova” cultura con quelle dette “tradizionali”».

Spiega il cardinale Bozanic: «Finora Internet è stato considerato per lo più come uno strumento: uno strumento tutto sommato recente ma ormai largamente diffuso, specie in Europa. Una diffusione tale che sta modificando anche il nostro modo di pensare e comunicare. […] Ma Internet sarà solo uno strumento? Questo lo potevamo pensare 3 o 4 anni fa! Oggi bisogna prendere atto che Internet è innanzitutto un mondo, che qualcuno ha voluto addirittura definire il “settimo continente”».

Il discorso prosegue non solo sottolineando l’importanza del Web, ma tentando di inquadrarne anche il ruolo e negando l’opportunità di un giudizio “a priori”: «L’amalgama di mentalità, modelli di pensiero, visione dell’uomo e stili di vita presenti nella rete influenza sempre più quello che finora si potevano definire le “culture tradizionali”, fino a trapiantarle. Per la maggior parte delle persone, specie per i giovani, per quella web generation che è cresciuta su internet, questo luogo virtuale, il mondo dei nuovi media, sta diventando lo spazio principale dove avviene la loro formazione umana, morale e conoscitiva. È in Internet che è possibile capire e si costruisce il nuovo modo di percepire la relazione interpersonale, la cultura, il rapporto con il trascendente, con la conoscenza e lo stesso Tempo. Un tempo ormai segnato dall’hic et nunc (qui ed ora) di una risposta immediata, fatta di un continuo flusso di notizie e di sollecitazioni di varia natura. Per questa web-generation, Internet non è una sfera dissociata dalla loro esistenza, ma semplicemente il prolungamento. È su Internet che creano legami sociali e imparano a vivere! Questo mondo però evoca allo stesso tempo paura e entusiasmo perché offre tante possibilità. Internet è il mondo della prima comunità nella storia umana ad essere continuamente e psichicamente collegata senza limitazioni di spazio e di tempo. Mi sembra chiaro che non si tratta qui di sapere se Internet sia una cosa buona o cattiva. Come qualsiasi strumento posto nella mano dell’uomo, Internet diventa ciò che l’uomo stesso decide che diventa!».

Il ruolo della Chiesa

Dopo aver identificato lo strumento, il documento prosegue cercando di identificare il ruolo che la Chiesa stessa deve tentare di ritagliare nel suo approccio al Web. Ed è una riflessione che va al di là del semplice “bisogna esserci”. «Nella sua storia millenaria la Chiesa ha sempre saputo cogliere la bontà degli strumenti di comunicazione sociale per l’edificazione del genere umano. In non pochi casi ne fu anche una grande promotrice. È nella natura stessa della Chiesa quale comunità dialogante che nasce il suo interesse per i media e per Internet. Essa infatti è consapevole che “una fede che non diventa cultura, non è una fede pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta”. Ora proprio questo rapporto tra fede e cultura non è altro che un incontro segnato dall’interattività. E proprio l’interattività, è una delle componenti fondamentali che caratterizza questo particolare mondo che chiamiamo Internet. Oggi la Chiesa ha di fronte a sé una nuova sfida: quella innanzitutto di essere presente sulla rete con il suo messaggio di amore. Ma la Chiesa può inoltre essere l’istituzione promotrice di un ethos condiviso. La Chiesa può indicare i criteri etici e morali, universalmente validi, riconoscibili nei valori umani e cristiani, tanto a coloro che usano Internet per svariati motivi (svago, ricerche, informazione?) quanto a chi se ne occupa professionalmente ovviamente nel rispetto della loro autonomia. Se è chiaro che la Chiesa ha un compito ed un dovere nei confronti degli utenti della rete, è realmente necessario che la Chiesa sia su Internet?». La domanda non è certo banale, perché dribbla la banalità di un “si, ovvio” cercando una motivazione vera.

La “necessità” di esserci è un quadro composto da parti molteplici: la necessità di non rimanere ai margini; la necessità di non uscire da un nuovo tipo di dialogo; la necessità di perdere il contatto con la gioventù; la necessità di non risultare antiquati e di non rispondere comunque alla storia solo perchè lo impone il senso comune. «Forse tutto questo è vero, ma certamente non sufficiente. In realtà la Chiesa ha bisogno di internet perché ha una Buona Novella da comunicare; perché è in Internet che è possibile capire e si sta costruendo il modello antropologico dell’uomo di domani»: è questa una considerazione di stima importante, poiché la Chiesa mette la Rete al centro del mondo che verrà. Il modello culturale, insomma, si sta per sostituire a quello precedente e capirne le dinamiche oggi significa non perdere il filo delle comunicazioni con la società che verrà.

Parole ancor più radicali provengono da mons. Jean-Michel di Falco Léandri, presidente della Ceem, il quale introduce la propria analisi partendo da alcuni casi reali del passato nei quali la Chiesa ha dimostrato di non aver esattamente il polso della Rete come luogo di confronto, dibattito e ricerca. Mons. Léandri nella propria analisi impone una sorta di dictat: o si è in Rete o non la si può capire ed ogni posizione intermedia non è accettabile in questa fase di radicale cambiamento: «Non facciamoci illusioni. Non facciamo lo struzzo. Internet si trasforma, trasforma la nostra società e non può non trasformare la Chiesa, non può non trasformare il nostro modo di essere e di agire come Chiesa, con il rischio di non essere più testimoni di Cristo nel mondo di oggi! Con Internet, assistiamo a una rivoluzione copernicana che sta già producendo i suoi effetti sul nostro modo di essere nella nostra relazione con il mondo, nel nostro collocarci nel mondo, nel nostro interagire con il mondo. Qui si inserisce la presa di coscienza della Chiesa istituzionale riguardo all’importanza di Internet. Nessuno dubbio. E a maggior ragione oggi. Ma saper navigare cavalcando l’onda di Internet è tutta un’altra storia. Internet è un rivelatore, un evidenziatore. O sapete comunicare, o non sapete farlo, o siete credibili o non lo siete, o rispondete alle attese o restate nella vostra bolla, o siete un profeta o siete l’ultimo dei Mohicani, o siete vivi o siete dei fossili, o conoscete il linguaggio di Internet o non lo conoscete e non potete comunicare. Paragono spesso la modalità di presenza della Chiesa nel mondo dei media e in Internet a ciò che viene richiesto a un missionario che si accinge a partire per terre sconosciute. Che cosa si chiede ad un missionario prima della sua partenza? Di conoscere la cultura del paese in cui si reca e di apprenderne la lingua. Non dovremmo forse avere lo stesso atteggiamento per ciò che riguarda la presenza nei media?».

La Chiesa su Twitter?

Un giorno la Chiesa sarà anche su Twitter? Perchè no. Nell’analisi di Léandri c’è una chiara cronistoria nella quale si rende evidente come non si tratterebbe né di uno scandalo, né di una rivoluzione, né tantomeno di una cosa strana: la Chiesa ha sempre saputo sfruttare ogni forma d’arte e d’espressione, ha saputo parlare con molti linguaggi e molte modalità, e la Rete altro non è se non un nuovo strumento in grado di aprire a nuove ed ulteriori potenzialità. Per capirlo, però, occorre dimenticare la cultura dei libri e della scrittura, affidandosi ai flussi delle emozioni e dell’informazione “liquida”: «Nuovi linguaggi nascono su Internet, utilizzati dai giovani. Abbreviazioni, foto ed emoticon, schede audio e video la fanno da padrone. La cultura digitale si dota di una propria grammatica, di una lingua in costante e veloce evoluzione (LOL, MDR). La nostra generazione soffre di un’eccessiva tendenza a considerare come superficiale tutto ciò che è breve, istantaneo, basato sull’emozione. Sarà forse perché siamo piuttosto orientati verso lo scritto, i lunghi elaborati, la qualità dell’argomentazione da quegli spessi dossier che dobbiamo affrontare, dai libri di teologia e dalle tesi che abbiamo letto o che ancora leggiamo? Se guardiamo più da vicino, però, la Chiesa nella sua storia non ha considerato come vettori di verità soltanto i lunghi trattati di teologia. Ha saputo esprimere la sua fede in modo conciso e convincente. Basti citare la proclamazione del kerygma negli Atti degli Apostoli. Ha saputo utilizzare forme di comunicazione non verbale. Basti pensare alle icone, agli affreschi e ai mosaici delle nostre chiese, alle vetrate e alle sculture sui timpani delle nostre cattedrali. Ha saputo suscitare emozioni. Basti ascoltare i suoi canti e le sue musiche. Proclamiamo «una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio Padre di tutti», ma esistono mille modi di esprimere questa fede. L’aggiornamento chiesto da Papa Giovanni XXIII ci spinge senza tregua a riattualizzare il modo in cui proponiamo la fede alle nuove generazioni».

In Rete per imparare ad ascoltare

In chiusura, il documento formula un suggerimento: la Chiesa è già capace a dire, mentre soffre ancora l’incapacità di ascoltare. La Rete è però anche in tal senso una grande fucina di opportunità: «La Chiesa non può comunicare come se non esistessero altre concezioni e interpretazioni del mondo. Ha una Parola, un messaggio d’amore da proclamare, ma deve anche ascoltare, e Internet è una formidabile camera di risonanza della vita del mondo». E l’occhio viene strizzato al mondo “social” come dimensione parallela e complementare a quella dei pachidermici siti istituzionali della comunicazione del Vaticano: «Un sito Internet dovrebbe poter mettere in contatto con Gesù Cristo e con una Chiesa viva, una comunità in cui si vivono l’unità e la carità. Lungi dal trovare tutto questo, gli internauti si trovano molte volte a confrontarsi con un “sistema” che offre, certo, i suoi vantaggi una volta che ne hanno superato la soglia, ma che, in un primo contatto, fa più da schermo che da cinghia di trasmissione, non avendo dalla sua parte la leggerezza dell’amore. Questi volteggiatori del Vangelo, li vedo nei blog creati dai laici. Questo rientra nel campo proprio della loro attività, della loro vocazione e della loro missione di battezzati nella Chiesa e nel mondo. I media riducono spesso la Chiesa al Papa ed ad alcuni cardinali. Ragion di più perché i vescovi e i sacerdoti lascino tutto il loro posto ai laici sulla rete. L’Azione Cattolica consisteva nell’evangelizzazione del simile da parte del simile, dell’operaio da parte l’operaio, dello studente da parte dello studente, della donna da parte della donna, del padrone da parte del padrone, ecc. Occorre ritrovare questa intuizione in ciò che riguarda la rete, e se non si riesce a evangelizzare la rete, almeno evangelizzare con la rete. Soltanto la presenza nella rete di cristiani laici competenti e illuminati, che si esprimono in quanto cristiani, potrà mostrare che non si può ridurre la Chiesa alla sua gerarchia e al Papa».

La Chiesa, insomma, «Non può portare avanti un discorso monolitico». I Cristiani sono chiamati ad usare la Rete come strumento di grande opportunità, e solo invadendo in massa (e con cognizione di causa) il “settimo continente” sarà possibile portare il verbo della Chiesa autenticamente dentro la società di domani. E per i blogger cristiani c’è una sorta di suggerimento: «Un sito Internet cristiano deve occuparsi del mondo e non tagliarsi fuori dal mondo. Deve evitare il politichese, evitare di essere esso stesso un ideologo che cerca di imporre la propria verità. Un sito deve essere aperto al dialogo e al dibattito, pur mostrando che non transigerà su certi principi che sono accettati da tutti e dovunque. Deve accontentarsi di proporre la verità di Cristo, in maniera ferma, morbida, umile. Il falso testimone di Cristo cerca di esasperare, cerca la provocazione. Il vero testimone di Cristo esaspera senza volerlo. Il sito cristiano deve dunque esasperare senza provocare. Se arriva a essere fastidioso, deve esserlo come lo si può essere in noi stessi quando la nostra coscienza ci provoca a tendere al bene ed ad evitare il male. Il sito cristiano ha il dovere di risvegliare le coscienze, puntando sull’attrazione di ogni uomo per la bontà, la verità, la bellezza. […] Ora più che mai, Internet ridistribuisce le carte, ci fa scendere dal nostro piedistallo, dalla nostra cattedra magistrale, ci fa uscire dai nostri ghetti, dalle nostre sagrestie. Papa, cardinali, vescovi, sacerdoti, fedeli laici, noi tutti formiamo con Internet un’agora, uno spazio libero e spontaneo dove si dice tutto su tutto, dove tutti possono discutere di tutto, un’agora virtuale in cui gli internauti si fanno un’idea su questo o quell’argomento mentre procedono nella loro peregrinazione, nella loro ricerca, ovvero nel loro zapping. L’internauta cattolico non fa eccezione a questa regola. Pur aderendo liberamente alla fede della Chiesa, vuole farsi un’opinione propria, essere il solo giudice di là dove si trova il suo bene. Naviga dunque in rete in funzione dei propri centri d’interesse, del punto a cui è arrivato nella sua ricerca, ed esercita il suo giudizio in funzione del punto a cui è arrivato nella sua fede e nelle sue conoscenze».

La Chiesa ribadisce inoltre la bocciatura netta e severa per il digital divide come forma di ingiustizia sociale, poiché toglie opportunità ai più deboli offrendone di nuove ai più fortunati. Ed il richiamo è direttamente alle parole del Papa: «è imperativo che il baratro che allontana i beneficiari dai nuovi mezzi d’informazione e di espressione da coloro che non vi hanno ancora accesso non diventi una causa insormontabile di ingiustizia e di discriminazione».

Di materiale di riflessione ce n’é a sufficienza. Ed è in questa quantità che si appalesa l’ampiezza della sfida che la Chiesa intende cogliere, sposando all’interno dell’assemblea le strutture millenarie del Vaticano con le novità leggere e sfuggenti dell’istantaneità del World Wide Web. Una azienda intelligente sa trarre spunti importanti da questo documento, poiché dietro al messaggio cristiano c’è anche un messaggio laico di grande valore: capire Internet non è questione semplice né superficiale, poiché occorre mettere in ballo la struttura stessa con cui la nostra mente è stata formata nei secoli.

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