Microsoft: l'antitrust badi anche a Google

Microsoft lancia il dubbio: perché l'antitrust non indaga anche sulla posizione di Google, che ad oggi detiene il 90% del mercato? Non sembra essere un sollecito casuale, visto che entro pochi giorni la Commissione Europea si esprimerà sul patto Microhoo
Microsoft lancia il dubbio: perché l'antitrust non indaga anche sulla posizione di Google, che ad oggi detiene il 90% del mercato? Non sembra essere un sollecito casuale, visto che entro pochi giorni la Commissione Europea si esprimerà sul patto Microhoo

Microsoft getta la pietra e ritira la mano. Le parole di Brad Smith nei confronti di Google, infatti, sono una stilettata rapida ma efficace, un colpo diretto e pungente che non sembra ambire ad altro se non a gettare un’ombra, un sospetto, forse un suggerimento velato: il dominio di Google non può proseguire senza che nessuno noti le possibili problematiche che comporta.

Lo speech di Brad Smith, consigliere generale Microsoft, volge su altre tematiche, ma entra con decisione sull’argomento sottolineando come l’ingombrante presenza di Google nel mercato della ricerca online sia giocoforza qualcosa di problematico: «Ogni volta che hai una compagnia che ha più del 90% di market share in un mercato chiave, è inevitabile che la gente abbia delle domande da porre. Possiamo dirlo in seguito ad alcune esperienze». Smith, insomma, non nega che Microsoft abbia avuto qualche disavventura in passato con l’antitrust, ma sembra voler chiedere una sorta di equità di trattamento.

Secondo quanto spiegato da Microsoft a a Bruxelles, la ricerca è oggi «il motore economico fondamentale per i contenuti online» poiché è il viatico principale attraverso cui gli utenti trovano ed accedono al materiale desiderato. Così come l’Europa ha posto dei fermi limiti a Internet Explorer in Europa, però, anche nella ricerca potrebbero essere posti dei paletti. Nicholas Sarkozy sembra aver già lasciato intendere come la Francia possa orientarsi verso questa direzione; in Germania le pressioni verso una posizione similare sono sensibili; in Italia il malcontento è espresso fino ad oggi soprattutto dal mercato dell’editoria e dell’advertising, anche se le posizioni appaiono ancora sfumate e dipendenti dall’eventuale evolversi della situazione nel mercato della distribuzione dei contenuti a pagamento.

Le pressioni Microsoft non sembrano giungere a caso. La Commissione Europea, infatti, ha promesso di giungere ad un verdetto sul caso Microhoo entro il 19 Febbraio, quando l’UE si esprimerà circa la bontà dell’accordo di partnership che porterà Bing sulle pagine di Yahoo. In questi giorni un questionario è stato distribuito dall’UE proprio per valutare le sensazioni di alcuni soggetti del mercato circa la bontà dell’accordo e l’eventuale ricaduta della partnership sul mercato di riferimento. È questo un passaggio importante poiché non solo Microsoft punta a rilanciare la propria posizione nella ricerca e nell’advertising online, ma soprattutto si cerca di porre un ostacolo sulla cavalcata solitaria di Google verso il monopolio assoluto. Qualcosa che, secondo Eric Schmidt, il gruppo di Mountain View addirittura meriterebbe.

In Europa ad oggi Google non ha ricevuto attenzioni particolari se non nel caso dell’acquisizione (approvata) di DoubleClick. Negli States al momento si è solo indicata una certa attenzione verso le attività del gruppo, ma non sono mai stati avviati passi ufficiali. Quello di Microsoft sembra ora un appello, un modo per smuovere le acque e vedere se qualcuno risponde. Non sarà però facile, e Google sembra potersi difendere in modo sostanziale grazie ad una forte azione di lobby che, secondo quanto emerso dai dati raccolti da Kara Swisher, è costata al gruppo solo nel 2009 oltre 4 milioni di dollari (contro i 2.8 del 2008 ed 1.5 del 2007). Sono queste cifre che avvicinano ormai la spesa calante di Microsoft e che sarebbero state distribuite in azioni rivolte alla riforma delle tasse, alle iniziative di “open government”, oltre ad argomenti più sensibili quali «la competizione nel mercato dei software e dell’advertising online».

Brad Smith ha colto l’occasione anche per ribadire quanto già chiesto da Microsoft in relazione al cloud computing: si concordi una normativa internazionale che permetta ai provider di servizi cloud di poter difendere anche dal punto di vista legale le proprie attività, le proprie infrastrutture e, soprattutto, i dati degli utenti. Senza la necessaria tutela, infatti, il mercato potrebbe farsi frastagliato e non lineare, creando zone d’ombra all’interno del quale potrebbero svilupparsi pericolose attività che scoraggerebbero l’uso degli strumenti cloud da parte delle aziende. Se così fosse verrebbe mandata all’aria una ghiotta opportunità in grado di cambiare radicalmente l’idea odierna del computing e gli utenti dovrebbero rinunciare a servizi in grado di offrire servizi interessanti e soprattutto un utile taglio dei costi rispetto alle formule odierne.

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