Quelli che... Internet ha perso le Primarie

Matteo Renzi ha perso le primarie, ma ha stravinto il confronto sul Web. Ed ora ci sarà chi sostiene quindi che il Web abbia perso.
Matteo Renzi ha perso le primarie, ma ha stravinto il confronto sul Web. Ed ora ci sarà chi sostiene quindi che il Web abbia perso.

Ora si dirà che Internet è sopravvalutato. Ora si dirà che Internet non è influente. Ora si dirà che Internet amplifica le sensazioni. Tutti punti di vista parzialmente veri, ma tutti, soprattutto, parziali. Perché, pur sforzandosi, la reale natura della rete ancora non è stata colta e per arrivarci occorrerà probabilmente un bel po’ di pratica, di applicazione e di consapevolezza in più.

Oggetto dell’attenzione, ovviamente, sono le Primarie del Partito Democratico. Perché se si fosse guardato semplicemente alla Rete, e questo sulla Rete lo si dice ormai da settimane, il plebiscito per Renzi sarebbe stato clamoroso: dominatore su Twitter, dominatore su Facebook, dominatore nel passaparola. Internet del resto è stato uno degli strumenti che più Renzi ha utilizzato per parlare con l’elettorato giovane, e sulla Rete ha nutrito gran parte delle proprie ambizioni. Guardando alla Rete, quindi, il feedback di ritorno risultava deviato e sproporzionato. Cosa ampiamente sospettata da tempo, cosa che i fatti hanno in seguito puntualmente dimostrato.

Al termine della competizione, Twitter è stato specchio fedele di quel che ha preceduto le urne: più delusione che soddisfazione, a dimostrazione del fatto che sulla Rete  i “renziani” erano molti più (e molto più attivi) dei “bersaniani”. Ed è questo il fatto che porterà oggi a molte (troppe) considerazioni affrettate. In entrambe le direzioni.

Ora che il dado è tratto serve una analisi equilibrata. Internet è sopravvalutato? No, ma andrebbe valutato comunque in modo differente. Internet non è influente? Lo è, ma occorre tenere in considerazione non soltanto il messaggio, ma anche il canale ed i destinatari del messaggio stesso. Internet amplifica le sensazioni? Sì, perché ogni discorso va relativizzato al contesto. Il concetto di “Rete”, del resto, è fuorviante di per sé stesso, poiché non si parla mai ad una community unita, unica ed omogenea: il paradosso del “popolo della rete“, mitizzato ed inesistente di per sé, riassume perfettamente il problema.

Chi parla su Internet, insomma, non sta parlando ai milioni di persone che vanno su Internet. E non sta parlando nemmeno a quell’italiano su due che usa la Rete con relativa regolarità. Chi parla su Internet sta parlando con una sacca di utenti che si riconosce in Twitter, in Facebook, in un forum, in un gruppo di discussione o in altro punto di riferimento ed agglomerato di persone. Chi parla su Twitter, inoltre, parla ad una community relativamente piccola, per la maggior parte non attiva e spesso e volentieri attenta soltanto ai piccoli insiemi di utenti seguiti. Le rilevazioni suggeriscono per Twitter una community potenziale complessiva tra 1 e 3 milioni di utenti: quando un telegiornale posa la sua lente su qualche hashtag, insomma, dà l’impressione di community estremamente attive e popolate, ma non si va nella maggior parte dei casi oltre le poche migliaia di persone.

Engagement sui social network: vince Matteo Renzi

Engagement sui social network: vince Matteo Renzi (dati BlogMeter)

Più interessante è analizzare la capacità di coinvolgere gli utenti dei social network. In questo il sindaco di Firenze risulta essere il più bravo: dal 19 al 24 novembre, mediamente ogni suo tweet riesce ad ottenere 65 reazioni (retweet e risposte), e per ogni post su Facebook 2991 tra like, commenti, condivisioni. Al secondo posto, troviamo il segretario del PD se guardiamo a Twitter (per ogni tweet genera 39 reazioni) e Nichi Vendola se consideriamo Facebook (per ogni post ottiene 1950 reazioni). Laura Puppato fa meglio di Bruno Tabacci in entrambi gli ambienti.

Medesimo discorso valga per Facebook: pubblicare qualcosa sul principale tra i social network non significa far arrivare il messaggio ai milioni di italiani iscritti, ma piuttosto raggiungere le poche migliaia di persone che hanno accordato il proprio “mi piace”. L’influenza, questo è vero, non si misura in follower (nonostante quest’ultimo dato venga spesso e volentieri strumentalizzato). Tuttavia queste rappresentano la base mentre il passaparola rappresenta l’altezza ed una moltiplicazione dei due fattori esprime l’area vera del proprio comunicare. L’influenza è qualcosa di ulteriore, misurabile nel volume che si ottiene moltiplicando ipoteticamente l’area del messaggio per la forza del messaggio stesso.

Senza dimenticare il fatto che parlare alla Rete (prendendo per buona questa vuota espressione) significa parlare ad una persona su due circa, e non sempre rivolgendosi a sacche di reale influenza. In futuro questo equilibrio cambierà repentinamente, ma oggi è questo il dato dei fatti: un telegiornale vale molto più di un hashtag tanto in ampiezza quanto in profondità persuasiva. E su questo sarebbe inutile ed ingenuo soprassedere. La Rete è parte di un tutto e come tale va considerata. E’ un tassello, un tassello sempre più importante, immerso in un ecosistema mediatico sempre più ricco, variegato e complesso. L’influenza non è propria di alcun media, ma trasuda piuttosto da un mix di componenti.

L’efficacia della comunicazione online è qualcosa che sfugge ad una riflessione semplicistica: la tv ed i media mainstream sono qualcosa di differente poiché si sviluppano su di un uno-a-molti che esclude ogni considerazione circa il dialogo tra gli utenti. Internet, invece, ingloba e rappresenta il dialogo stesso, rendendo tutto molto più complesso, sfuggente, ambivalente e spesso fuorviante. Una cosa è certa: i parametri quantitativi hanno valore estremamente relativo e soltanto una analisi nel dettaglio saprà fornire chiavi di lettura autentiche e verosimili. Qui la “fisica” conta poco, perché la verità può emergere soltanto da una analisi “chimica” che guarda alle singole molecole aggregative ed alle dinamiche subatomiche dell’intimo. Per analizzare la Rete serve un cambio di prospettiva. E la crossmedialità deve diventare il vero oggetto dell’osservazione.

Nel day-after delle Primarie del PD, invece, la faciloneria si moltiplicherà. Teorici di ogni forma e vocazione proveranno ad interpretare il rapporto tra la comunicazione online ed il risultato dei seggi, ma la realtà è che nessun modello giunge oggi a supporto di una lettura chiara dei fatti. Il tentativo è comunque meritevole, poiché capire meglio i flussi della comunicazione online aiuterà la stampa a leggere meglio la Rete, aiuterà la politica a dialogare con maggior efficacia, aiuterà gli utenti a respirare maggior consapevolezza ed aiuterà in generale il merito ad emergere dal rumore.

Il campo va però sgombrato soprattutto dai falsi miti e dalle conclusioni affrettate. No, non ha perso Internet. Si, Internet può essere estremamente utile. Sì, Internet può aiutare la democrazia. E sì, Internet è uno strumento valido. Bisogna però capirlo davvero, capirlo a fondo. Del resto chi a suo tempo ha capito la radio ha dominato gli anni successivi; e chi ha capito la tv ha in seguito guidato l’Italia per due decenni. Ora non resta che sperimentare, twittare, condividere e lasciarsi coinvolgere per capire davvero Internet. Perché questo è Internet: coinvolgimento. Non è share, ma partecipazione. Non è specchiarsi sulle acque, ma immergervisi.

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