L'addio dell'Italia alla telefonia mobile

Se H3G acquisisse il controllo di Telecom, il nostro Paese perderebbe l'ultima azienda tlc. Intanto i sindacati e la politica si interrogano sulla fusione
Se H3G acquisisse il controllo di Telecom, il nostro Paese perderebbe l'ultima azienda tlc. Intanto i sindacati e la politica si interrogano sulla fusione

Il CDA di Telecom Italia ha dato ieri mandato a Franco Bernabè e a 3 membri del consiglio di valutare le condizioni di una possibile fusione con H3G. Se questo scenario dovesse avverarsi, il gruppo di telecomunicaizoni cinese otterrebbe il 29,9% del capitale di Telecom Italia, vale a dire la maggioranza relativa. All’attuarsi di questo scenario, l’Italia avrebbe perso definitivamente tutte le sue aziende di tlc. Si ricorda che la prima azienda ad andarsene fu Omnitel che finì nelle mani di Vodafone e poi toccò a Wind che da Enel passò prima dal magnate egiziano Naguib Sawiris all’attuale oligarca russo Mikhail Fridman. Non possiamo poi dimenticarci anche di Fastweb oggi controllata da Swisscom.

Oggi il mercato economico è ben diverso dal passato e in un mondo globalizzato è assolutamente lecito che l’ex azienda monopolista italiana, una volta di proprietà pubblica, possa passare ad un’azienda cinese. Ciò che va sottolineato è che questo epilogo, se mai sarà così, è tutto da ricercarsi nella totale mancanza di una politica industriale che non ha saputo definire mai gli interessi nazionali creando dei poli di riferimento. Questo può sembrare un controsenso per un Paese che di fatto ha inventato la telefonia mobile e che oggi rischia di trovarsi nella condizione di non avere neanche una compagnia telefonica nazionale. Si ricorda che negli anni ’90 fu proprio TIM a lanciare per prima al mondo le carte SIM oggi diventate uno standard.

A dire il vero in Italia rimarrebbe ancora Tiscali come operatore nazionale, tuttavia per numeri non è comparabile certo a Telecom Italia.

I commenti dalla politica e dalle parti sociali alla possibile fusione non si sono certo fatti attendere. Michele Azzola, segretario della Slc-Cgil, senza mezze misure afferma che:

[…]è un progetto folle perché consegna il settore delle Tlc italiane in mani straniere, con effetti nefasti sulla competitività del paese. E mentre i politici sono impegnati a confrontarsi su quanto costa un caffè alla buvette, l’economia sta distruggendo il Paese.

Molto preoccupato di questo percorso industriale anche Salvo Ugliarolo, Segretario Nazionale UILCOM-UIL con delega alle Telecomunicazioni.

E’ chiaro che se Hutchison Whampoa diventerà socio di riferimento si debba accelerare anche sulla separazione della rete. Non è pensabile passare di mano un’infrastruttura così ‘sensibile’, dove viaggiano dati importanti anche per la sicurezza nazionale, a una compagnia straniera. In questo contesto si verebbe a snaturare la natura stessa di Telecom che ‘è’ Telecom anche perché è proprietaria della rete.

Anche la politica ha voluto dire la sua e Paolo Gentiloni, deputato e responsabile Ict del Partito Democratico, chiede che il Presidente Mario Monti e il Minsistro Passera riferiscano urgentemente alle camere sulle trattative in corso tra Telecom Italia e H3G.

Un silenzio assordante circonda infatti il futuro di un’impresa che, oltre ad essere la principale impresa italiana di telecomunicazioni, possiede anche la nostra infrastruttura di rete e l’accesso all’immenso patrimonio di dati che contiene. Se Telecom finisse sotto il controllo del gruppo cinese si tratterebbe di un fatto senza precedenti tra i grandi incumbent dei Paesi europei. Un fatto carico di ovvie implicazioni strategiche per l’Italia, oltre che di ripercussioni per tutto l’indotto del settore

Tra le poche voci favorevoli alla fusione tra i due gruppi Linda Lanzillotta, senatrice della Lista Civica con Monti per l’Italia, che afferma come:

Lo scorporo della rete è l’unico modo per rilanciare gli investimenti e garantire la neutralità della rete. Per quanto riguarda la possibile integrazione con 3 Italia, questa va letta in un contesto più ampio: ormai le grandi compagnie di telefonia non sono più italiane. Sono considerazioni che ineriscono la natura e la qualità stessa del capitalismo italiano.

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