AgCom vuole la par condicio anche sul Web

La Rete non è sottoposta alla par condicio, ma il presidente dell'autorità garante invita il Parlamento a legiferare. Arianna Ciccone: Una scemenza.
La Rete non è sottoposta alla par condicio, ma il presidente dell'autorità garante invita il Parlamento a legiferare. Arianna Ciccone: Una scemenza.

Mentre prosegue la campagna elettorale tra polemiche feroci e dibattiti televisivi che saltano all’ultimo momento, il Web continua la sua marcia inarrestabile nel conquistare quote di attenzione e influenza. Il popolo degli internauti conta 28 milioni di persone, dotate di strumenti coi quali accedono a 80 mila fonti di informazione. Questa mole importante di dati, volti, proposte politiche, dibattiti, non è regolamentata. In Rete nessuno quantifica il tempo o lo spazio concesso a un candidato piuttosto che a un altro, e la verifica delle notizie è lasciata alla revisione (fact-checking) della rete stessa. Ora però l’Autorità Garante delle Comunicazioni sembra volerci mettere mano.

Lo ha detto il presidente dell’AgCom, Marcello Cardani, al Tg1 a latere di un commento sui primi stentati passi della par condicio in questa campagna e le polemiche per il presenzialismo di alcuni politici nella fase immediatamente precedente. Secondo Cardani andrebbe fatta una revisione completa del settore, attribuendo in maniera più precisa le responsabilità nei casi di posizioni dominanti o «uso scorretto della rete».

È necessario che ci sia una normativa per il web, che non c’é. Al momento tutto ciò che avviene su internet non è sottoposto alla nostra giurisdizione. Il ricorso a strumenti nuovi è crescente e quindi ritengo che il Parlamento prima o poi debba esaminare la questione.

La notizia non ha avuto forse la risonanza che meritava. Il web italiano, infatti, si sta arricchendo come mai prima di strumenti di analisi basati sulle conversazioni sui social network. Si prenda ad esempio una piattaforma estremamente seria e interessante come Italia2013, il primo tentativo di racconto collettivo di una campagna elettorale sui social tramite statistiche aggiornate, analisi semantiche, infografiche molto accurate e mappe dinamiche. Il tutto corredato da un’agenda di appuntamenti molto utile.

Le piattaforme, per quanto interessanti, si limitano ad osservare e analizzare quanto accade. C’è chi, invece, vorrebbe regolamentare. L’idea alla base della proposta dell’AgCom tradisce un punto di vista più classico, che considera con riserva l’informazione online perché ad alto rischio di manipolazione. Eppure buona parte dei politici italiani stanno utilizzando a man bassa la Rete per proporsi, senza particolari timori. Persino il neofita Mario Monti sta adoperando con insospettabile frequenza questi strumenti (merito del consulente di Barack Obama?). Al contempo, tuttavia, la cronaca parla chiaro: mai campagna elettorale è stata più televisiva di questa, a partire dall’ormai memorabile one-man-show di Berlusconi alla trasmissione di Santoro. Con la differenza che la televisione stavolta sembra essere il mezzo con il quale stimolare la propria popolarità (anche e soprattutto online) e non più il fine stesso della comunicazione.

Con molta lucidità, Jacopo Iacoboni su La Stampa ha messo in guardia chi comincia a dire del web quello che si è sempre detto della televisione: che non sposta voti. La domanda è posta nella maniera sbagliata. Così come, probabilmente, anche la soluzione immaginata dall’Autorità Garante:

Tutto (sia la tv che Twitter) può essere alto o basso: dipende dalla dinamica di flusso che si genera e alla quale si appartiene; e non è cosa che possano decidere gli spin o gli ingegneri. È vero, però, che quella di Milano è stata finora l’unica eccezione in cui – non solo Twitter, anche Twitter – una intera costellazione di ambienti ha concorso a creare un evento come la mobilitazione che ha infine portato alla vittoria dell’attuale sindaco. Ma in quel caso si è visto che esiste, diciamo così, un’altra possibilità di “influenza” dei social media, quella di partecipare a una costellazione, di cui sono una delle tante fette.

La proposta dell’AgCom che effetto avrebbe? Ma soprattutto: è applicabile? Sembra impossibile immaginare strumenti quantitativi applicabili a un ambiente qualitativo e in stile “giungla” come lo è per eccellenza la Rete, dove ciò che costituisce la reputazione è la qualità delle azioni e delle relazioni piuttosto che la mera presenza. La proposta dell’AgCom, da questo punto di vista, sembra pretendere di aggiustare una cosa che funziona.

Il parere di Arianna Ciccone è ancora più franco: l’organizzatrice del Festival del giornalismo di Perugia non la considera neppure una proposta ricevibile:

Una proposta del genere o la ignori o ridi. Denota una totale, profonda, oscena incompetenza e incomprensione di cosa significa esattamente la rete, il web. Significa non conoscerne la natura, non sapere cosa siano esattamente questi ambienti e di quali dinamiche si alimenta. Insomma è una scemenza. Punto. Questa gente non sa di cosa parla e ha una scarsa idea di cosa sia la democrazia.

E per rafforzare questa opinione, suggerisce di leggere il post di Fabio Chiusi sul Nichilista, dove elenca ironicamente cinque modi per ottenere la par condicio 2.0. Il risultato assomiglia alla “Fattoria degli animali”.

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