Apple indaga sul furto di foto hot delle celebrity

Apple conferma di aver avviato le indagini sul supposto furto di foto delle celebrity da iCloud, sebbene al momento il servizio non evidenzi anomalie.
Apple conferma di aver avviato le indagini sul supposto furto di foto delle celebrity da iCloud, sebbene al momento il servizio non evidenzi anomalie.

Da più di 24 ore i social network sono letteralmente impazziti. Non c’entrano però l’Ice Bucket Challenge, gli onnipresenti gattini o qualche altra iniziativa di sensibilizzazione: il “merito” (la “colpa”?) è tutto di un cracker e della pubblicazione online di centinaia di fotografie hot private delle celebrity a stelle e strisce. Jennifer Lawrence, Ariana Grande, Rihanna, Kate Upton, Kirsten Dunst e tante altre ancora, tutte pronte a identificare un unico e solo responsabile: iCloud di Apple. L’effetto virale delle condivisioni è stato immediato, portando così l’intimità di Jennifer Lawrence sulla bacheca di milioni di persone in tutto il mondo.

Sebbene in quel di Cupertino non siano state rilevate anomalie, la società ha promesso di analizzare a fondo la questione per comprendere se i servizi a marchio mela siano davvero implicati nella vicenda.

Il cracker che ha reso disponibili gli scatti a luci rosse non ha specificato come ne sia entrato in possesso: l’accusa a iCloud è nata in itinere sia per gli iPhone ripresi nei selfie allo specchio di alcune celebrity che per qualche affermazione avventata su Facebook e Twitter. E mentre la gran parte delle giovani coinvolte è impegnata ad affidare a PR e legali la conferma o la smentita dello scandalo – solo una piccola parte delle immagini sarebbe autentica – c’è chi affida a Twitter il proprio pensiero. È il caso di Kirsten Dunst, la quale ha pubblicato un amaro «Grazie iCloud» sul social network nella tarda giornata di ieri.

Natalie Kerris, portavoce Apple negli States, ha rilasciato alla testata Re/Code un commento ufficiale sulla vicenda:

«Prendiamo davvero sul serio la privacy degli utenti e stiamo attivamente indagando sull’accaduto.»

Eppure di elementi evidenti per accusare Apple non ve ne sarebbero. Innanzitutto, il cracker di 4Chan ha spiegato di aver ottenuto le fotografie da più fonti, sebbene alcune proverrebbero proprio da iCloud. Inoltre, in molti scatti le vittime sono armate di device Android o Blackberry, non di prodotti a marchio mela, quindi è improbabile che i selfie effettuati con questi dispositivi siano stati mandati sulla nuvola di Apple per un backup poco lungimirante. Infine, nelle ultime ore è emersa l’ipotesi – tutta da verificare – di un coinvolgimento di Dropbox e Snapchat, due altri servizi che fanno dell’archiviazione cloud il proprio motto. In realtà, è molto probabile che i malintenzionati abbiano messo in atto delle tecniche di “brute force” sulle password degli account compromessi, scovandole con sistemi automatizzati. In questo caso non sarebbe allora la sicurezza dei server Apple in discussione, ma l’ingenua semplicità delle parole chiave scelte dall’utente. Come andrà a finire? Apple riuscirà a dimostrare la propria estraneità ai fatti? Attrici e cantanti ritroveranno la loro serenità digitale? E, non ultimo, il cracker in questione dovrà subire lo stesso destino degli “hackarazzi” di Scarlet Johansson, condannati a 10 anni di carcere?

Le indagini sono al momento focalizzate soprattutto sull’idea per cui il backup automatico delle immagini possa averle portate nel cloud ed a questo punto qualcuno le abbia in qualche modo trafugate, il tutto tramite tecniche di vario tipo finalizzate alla scoperta della password per l’accesso all’account. Nel caso di Kate Upton, addirittura, i dati EXIF delle immagini suggerirebbero una provenienza degli scatti non tanto dallo smartphone dell’attrice, quanto da quello del fidanzato.

A questo punto soltanto Apple potrebbe fornire una spiegazione credibile al tutto, ma in ballo è evidente come ci sia molto: la credibilità dei sistemi cloud è data dalla loro affidabilità e dalla loro sicurezza, soprattutto quando in ballo v’è la privacy dell’utente finale. Il caso non riguarda pertanto soltanto lo star system, peraltro primo portavoce del verbo di Cupertino: dietro i selfie arrivati online c’è un caso che rischia di deflagrare e che Tim Cook non può sottovalutare.

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