Berlusconi, Tartaglia e il "popolo di Facebook"

In poche ore Massimo Tartaglia è divenuto fulcro tanto per gruppi anti-Berlusconi, quanto per gruppi pro-Berlusconi. Ed ora sono già in molti a puntare il dito contro Internet e contro Facebook, quali ricettacoli di odio: si chiede vigilanza e censura
In poche ore Massimo Tartaglia è divenuto fulcro tanto per gruppi anti-Berlusconi, quanto per gruppi pro-Berlusconi. Ed ora sono già in molti a puntare il dito contro Internet e contro Facebook, quali ricettacoli di odio: si chiede vigilanza e censura

Il popolo di Facebook ha creato gruppi pro-Tartaglia, il popolo di Facebook ha istigato gesti violenti, il popolo di Facebook ha commesso apologia di reato, il popolo di Facebook ha glorificato un violento. Queste le tante reazioni il giorno dopo l’aggressione a Silvio Berlusconi, che abbiamo monitorato online fin dalla prima ora. Sono molti i giornali pronti a sottolineare la reazione che “il popolo di Facebook” avrebbe avuto fin dai primi attimi successivi ai fatti di Milano. Con un peccato originale, però, nella definizione: il “popolo di Facebook”, semplicemente, non esiste.

Per superficialità di approccio l’utenza che si esprime su Facebook viene giudicata alla stregua di un gruppo organizzato, identitario, organicamente legato da principi in realtà totalmente assenti. Dopo i primi moniti, infatti, già vi sono accuse precise e le prime richieste di “oscuramento”. Corriere della Sera: «Il popolo della rete è tornato a farsi sentire. Dopo i gruppi nati su Internet nel 2004 a sostegno del treppiede lanciato contro il premier Berlusconi in piazza Navona, anche ieri, a meno di un’ora dall’aggressione, su Facebook si sono moltiplicati gli schieramenti pro e contro Massimo Tartaglia. Più di 270 i gruppi e oltre ventimila i fan […]. Entusiasmo, facile ironia, in alcuni casi tifo da stadio. […] Gianfranco Rotondi si è espresso sull’accaduto: “L’inno a Tartaglia su Facebook è il segno della barbarie in cui è precipitato il Paese. […] Roberto Maroni ha chiesto un rapporto alla polizia Postale di cui discuterà oggi durante l’incontro con il prefetto di Milano per fare chiarezza “sul clima di odio alimentato anche dai siti”».

La Repubblica, in parallelo, segnala la richiesta della deputata PdL Micaela Biancofiore, la quale «invita il ministro Maroni a intervenire col Viminale per “oscurare immediatamente i siti, escalation di istigazione alla violenza”». Quella che nelle prime ore appariva come un normale rigurgito di protesta, nelle ore ha accumulato migliaia di fans fino a giungere alle cronache nazionali. Di qui agli interventi politici il passo è breve, e mette ora nuovamente in discussione il filo sottile tra libertà e controllo sul quale la Rete vive ogni singolo giorno. In mattinata, infatti, ecco il monito di Alfredo Mantovano, sottosegretario all’Interno: «Ci sarà adesso un monitoraggio di questi siti […] La nostra polizia postale e le altre forze di polizia – con tutti i limiti che un intervento di questo tipo comporta, sia tecnici, sia di normativa – cercheranno di capire e di risalire [a chi ha lanciato messaggi di minaccia o di odio]. Ci proviamo, non sarebbe la prima volta che si arriva a dei risultati». Duro anche il ministro per le Politiche Europee Andrea Ronchi, in mattinata: «È scandaloso e moralmente inaccettabile ciò che stiamo leggendo in queste ore su internet e nei social network. Per questo chiederò al ministro dell’Interno di procedere all’oscuramento dei siti in cui si inneggia alla vigliacca aggressione subita dal presidente Silvio Berlusconi».

I fatti si limitano ad una evidenza: un fatto di cronaca tanto clamoroso alza i toni del dibattito su ogni media, e la Rete in questo non è da meno. La differenza è nel fatto che la Rete non ha filtri e la “pancia” della gente si esprime con un “fuori onda” senza soluzione di continuità, parlando istintivamente ed aggregandosi sotto forma di gruppi a costo zero, senza ideali che valgano più di un semplice click effettuato senza ragionamento alcuno. Il cosiddetto “popolo della Rete” è semplicemente una sommatoria priva di significato che non sia quello di una reazione istintiva. Uno studio sociologico approfondito su questo tipo di espressione di massa dovrà essere alla base di qualsivoglia intervento su siti e social network, prima che reazioni altrettanto istintive possano prendere piede a limitazione della libertà di espressione.

Gruppi pro e contro Massimo Tartaglia

Gruppi pro e contro Massimo Tartaglia

Quando i siti anti-Berlusconi ed anti-Alfano presero forma nei mesi scorsi, Facebook si limitò ad obbligare un cambio nel titolo per smussare il carico di barbarie concentratosi sulle pagine di riferimento: l’abbassamento dei toni sul problema politico cancellò anche tutte le polemiche insorte sui gruppi nati sul social network. In questo caso nulla è al momento stato portato avanti ed a 12 ore dall’aggressione si contano 58 risultati alla query “Massimo Tartaglia“, ognuno con una sequela più o meno lunga di affiliazioni, ma suddivisi tra “pro” e “contro”. Il dito sembra però nuovamente puntato contro quelle che a suo tempo definimmo provocatoriamente “Brigate Facebook“: finché non si abbasserà la tensione, l’attenzione dovrà restare alta.

Il cosiddetto “popolo di Facebook”, insomma, non sembra avere una opinione propria, né una identità organica al di fuori di quella aggregativa legata al mezzo di comunicazione comune, ma è evidente comunque il vociare crescente di una piazza nella quale stanno confluendo le multiformi reazioni di milioni di italiani. Nessuna voce rappresentativa, ma solo rumore crescente. Capire Facebook ed il reale valore del suo “popolo” potrebbe essere un primo passo verso la comprensione degli effetti collaterali che la tensione crescente degli scontri politici può far scaturire in una piazza. Senza per questo limitare in alcun modo nessuna piazza: né quelle reali, né quelle virtuali.

Una curiosa concomitanza di tempi porta peraltro sul New York Times, fianco a fianco, due storie differenti provenienti dall’Italia: la prima è l’aggressione al premier; la seconda è il processo a Google e l’analisi delle responsabilità che proprio alcuni procuratori di Milano vorrebbero far pesare sul gruppo di Mountain View a causa del tristemente famoso filmato portato su Google Video anni or sono. Fianco a fianco, le due storie avranno molto da dire su quello che potrà essere il futuro della Rete nel nostro paese.

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