Charlie Hebdo: Alfano minaccia il Web

Il titolare del Viminale prende la palla al balzo dopo l'attentato francese e prende impegni restrittivi su privacy, provider e rimozioni. Vecchio vizio.
Il titolare del Viminale prende la palla al balzo dopo l'attentato francese e prende impegni restrittivi su privacy, provider e rimozioni. Vecchio vizio.

Attenuazione della legge sulla privacy, nomi forniti dai provider, rimozione veloce dei contenuti. La reazione del ministro Angelino Alfano agli attentati dei fondamentalisti islamici in Francia va a pescare in un vecchio repertorio, molto pericoloso per le libertà civili. Il vecchio vizio della politica italiana, che reagisce male, frettolosamente e coinvolge la Rete in uno strascico di colpe che non ha.

Le dichiarazioni del ministro rilasciate alle agenzie poco fa dovrebbero suonare tranquillizzanti per chi teme il ripetersi di azioni come quella di Charlie Hebdo, ma sono inquietanti per quanto somigliano alle proposte peggiori degli anni passati (di cui lo stesso Alfano fu protagonista) in merito al controllo della Rete. Che si tratti della lotta alla pirateria, della lotta al cybercrimine, al bullismo, oppure oggi come nel 2001 al terrorismo, si finisce spesso nella solita solfa: usare il Web come fosse a disposizione della lente di ingrandimento delle intelligence, dei detentori di proprietà, delle autorità politiche e giudiziarie, con buona pace di qualche diritto scritto nero su bianco nelle costituzioni.

Le proposte di Alfano

Difficile comprendere con precisione l’intenzione di Alfano, che parla di «un’azione sui providers che possono aiutare a trovare i messaggi di radicalizzazione sul web», mentre alcuni giornali anticipano l’intenzione del Viminale di attenuare, in alcuni casi particolari, la legge sulla privacy consentendo alle forze di polizia l’accesso ai dati sensibili; si pensa anche alla registrazione dei siti internet ritenuti a rischio con l’inserimento in una black list e la rimozione immediata dei contenuti.
Andando per ordine:

  • Il procedimento di indicazione dei nominativi esiste già. L’articolo 17 della legge 70 consente alle autorità di chiedere ai provider di fornire i nominativi dei suoi utenti. Basta che la richiesta sia firmata dal tribunale. La domanda è: questa richiesta può venire anche dal Viminale? La mancanza di chiarezza ha permesso le vie extragiudiziarie, ad esempio, dell’Agcom. L’authority potrebbe essere coinvolta nella proposta del ministro.
  • La sorveglianza preventiva è impossibile e illegale. La stessa legge che consente di chiedere i nomi di presunti terroristi ai provider impedisce di creare una black list e di sorvegliare le persone senza autorizzazione giudiziaria. Se Alfano pretendesse questo e portasse in CdM un decreto del genere sarebbe gravissimo.
  • La rimozione dei siti ritenuti pericolosi introduce una ennesima categoria arbitraria nella tassonomia che incolpa la Rete e dà troppo potere alle autorità politiche. Una strada pericolosa per i diritti dei cittadini, che potrebbero trovarsi spazzati via nei loro contenuti, nelle loro abitudini di navigazione per la rimozione d’imperio di un server e tutto quanto contiene e darebbe man forte a una visione “politica” di ciò che è pubblicabile e ciò che non merita di esserlo.

Il datagate non ha insegnato nulla?

Lo si è perfettamente compreso con il Datagate: gli attentati del 2001 hanno creato negli Stati Uniti una opinione pubblica favorevole o comunque indifferente a importanti riduzioni delle libertà e della riservatezza. Il Patriot Act che ne uscì è la base giuridica sulla quale è imperniata l’azione della NSA, così potente da aver scandalizzato il mondo intero e messo in discussione la reale fiducia che miliardi di persone possono avere nell’infrastruttura e nella capacità delle piattaforme (da Google a Facebook, ai cloud di Apple) di proteggere i dati sensibili.

La lezione dovrebbe essere stata appresa, anche in Italia, che a causa dell’11 settembre ha pagato enormi difficoltà nella diffusione del WiFi, per un intero decennio. Oggi tutti ammettono quanto quella norma sia risultata inutile a ridurre il rischio di attentati, mentre si è rivelata drammaticamente perfetta per aumentare il digital divide italiano. Qualunque obiettivo si pongano Alfano e il governo non potrà prescindere da questa lezione, altrimenti la reazione delle community della Rete, delle associazioni, dei provider stessi, non potrà che essere altrettanto dura, come in passato.
La dinamica terrorismo – paura – restrizione dei diritti è troppo nota perché passi un’altra volta sotto silenzio.

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