Ddl per punire l'istigazione via Web? Una bufala

Un lancio di agenzia ed i successivi copia/incolla hanno riportato alla luce una vecchia proposta del Senatore Raffaele Lauro relativa al reato di istigazione a delinquere perpetrata via Web. Ma la notizia è in realtà vecchia di ormai 7 mesi
Ddl per punire l'istigazione via Web? Una bufala
Un lancio di agenzia ed i successivi copia/incolla hanno riportato alla luce una vecchia proposta del Senatore Raffaele Lauro relativa al reato di istigazione a delinquere perpetrata via Web. Ma la notizia è in realtà vecchia di ormai 7 mesi

La politica si muove nuovamente in massa per affondare la mano sul Web? Si, no, forse. Di “leggi bavaglio” è piena la cronaca quotidiana, ma il nuovo progetto è sembrato per qualche ora destinato ad ereditare immediatamente buona parte della polemica aggravando una situazione già di per sé tesa. L’allarme è partito da un lancio Adnkronos: «Mano pesante contro chi istiga alla violenza utilizzando il web. A chiederlo sono 54 senatori del Pdl con il ddl che vede come primo firmatario Raffaele Lauro e che prevede il carcere da 3 a 12 anni per chi, comunicando con più persone in qualsiasi forma, istiga a commettere i reati puniti dall’articolo 593 del Codice penale».

Il linguaggio usato sembrava richiamare alla memoria le settimane post-Tartaglia, quando da più parti si indicò Facebook come colpevole di uno sfogo di massa che sarebbe dovuto essere punito per il modo in cui il linguaggio su piazza comune porta ad istigare alla violenza. In questo caso l’obiettivo sembra esplicitamente puntato verso la Rete, vista come vera e propria aggravante al reato: «Se il fatto è commesso avvalendosi dei mezzi di comunicazione telefonica o telematica – si legge nell’articolato del ddl – la pena è aumentata».

Spiega il senatore Raffaele Lauro in una presunta dichiarazione rilanciata dall’agenzia: «Appare di tutta evidenza la necessità di intervenire per via legislativa prevedendo un’incriminazione finalizzata ad arginare il pericoloso, diffuso fenomeno di coloro che inneggiano alla violenza sulle persone, specialmente attraverso interventi mediatici o telematici. […] È necessario introdurre una fattispecie penale che punisca il comportamento di chi, tramite discorsi, espressioni, scritti, interventi, utilizzando internet o i social network, o tramite altri mezzi mediatici o informatici, istighi a commettere un delitto contro la vita e l’incolumità individuale o fa apologia degli stessi delitti».

Seguendo l’attività di Raffaele Lauro presso il Senato, e verificando la notizia tramite altre fonti, il tutto non sembra però supportato da argomentazioni attuali. Una attenta disamina di Guido Scorza, infine, cancella ogni dubbio: si tratta di una semplice bufala giornalistica. Chi segue Webnews da tempo potrà ricordare l’articolo del 21 Dicembre 2009 “PdL: 12 anni per chi istiga alla violenza sul Web“, quando già si seguì in presa diretta la proposta ed i commenti a caldo. Nulla di nuovo, insomma, ma soltanto un riflusso giornalistico che riporta in superficie una notizia già da tempo destinata al dimenticatoio.

Il tutto nasce da uno sventurato lancio di agenzia e dal successivo “copia e incolla” operato da La Stampa e altre testate. Cercando le dichiarazioni di Lauro, si risale quindi alla documentazione originale di una proposta vecchia ormai di vari mesi: «La notizia è una “bufala” o meglio, la notizia è vera ma vecchia di oltre sette mesi giacché il disegno di legge Lauro è stato presentato al Senato il 21 dicembre 2009 e, fortunatamente, dal successivo 26 gennaio giace in Commissione Giustizia».

Nessun nuovo caso Tartaglia, insomma, e nessun nuovo bavaglio in stile D’Alia (la cui bufala continua a circolare mietendo ciclicamente nuove vittime): semplicemente una conferma del fatto che se l’editoria ambisce a far pagare i lettori dovrà prima imparare a far apprezzare le proprie indagini ed il proprio senso critico, evitando rilanci fasulli e notizie false intrise di allarmismo. Evitando, soprattutto, l’acriticità di un copia/incolla.

Il caso Raffaele Lauro si apre e si chiude così in un nulla di fatto: la proposta, la cui bontà si scioglie già ad una superficiale disamina, è dell’anno precedente ed insabbiata nei lavori di commissione parlamentare. I “bavagli” di cui occuparsi al momento sono altri. Condivisibile, quindi, la chiosa de Il Post: «Non è la rete ad aver insegnato il cattivo giornalismo: veniva da lontano».

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