Google adesso is evil?

Lo split azionario comunicato da Google ha lasciato strascichi: da più parti viene criticata una mossa che non fa che sigillare i poteri forti in azienda.
Lo split azionario comunicato da Google ha lasciato strascichi: da più parti viene criticata una mossa che non fa che sigillare i poteri forti in azienda.

La notizia con cui Google ha ufficializzato l’introduzione di uno split azionario è stata accolta in modo estremamente freddo dal mondo della finanza. Da più parti, infatti, si sono levate taglienti critiche nei confronti del colosso di Mountain View, intravedendo in una mossa di questo tipo un tentativo grossolano di garantire a Larry Page e Sergey Brin il controllo imperituro del gruppo. Per molti analisti si è trattata di una mossa logica sotto certi punti di vista, ma pur tuttavia contro la natura delle cose.

Con una conclusione che sulle labbra di molti si è fatta sentenza: Google is evil, ora sì, ora lo è.

La mossa, va detto, è tanto legale quanto trasparente, ed apparentemente priva di conseguenze. Semplicemente fino ad oggi vi erano azioni di classe A ed azioni di classe B (dotate di diverso peso specifico nel potere decisionale del gruppo), la maggior parte delle quali concentrate nelle mani di Page, Brin ed Eric Schmidt. A seguito della mossa odierna il gruppo ha creato una nuova serie di azioni, denominate “classe C”, distribuendole in egual misura a chi ha in mano azioni classe A ed azioni classe B. Così facendo chi aveva in mano una azione si trova con in mano due azioni, pur a parità di valore. Le azioni classe C non hanno potere di voto, dunque formalmente non cambia il quadro di potere all’interno dell’azienda.

Fin qui, insomma, nulla di strano. Ed inoltre una clausola firmata dalla triade di comando impedisce a Page, Brin e Schmidt di vendere le proprie azioni C se non a fronte della vendita di azioni A o B, il che significa che i top manager non possono alleggerire il proprio portfolio se non a fronte di una perdita del potere decisionale. Tale clausola è la garanzia ultima dell’impegno dei vertici nei confronti del gruppo, con Page e Brin che chiedono pertanto alla base degli azionisti di continuare a credere nei fondatori, perpetuando così la concentrazione di potere che ha fin qui permesso a Google di crescere e dominare.

Ma è proprio su questo punto che si concentrano le critiche, ben riassunte dal Sole 24 Ore:

Così certe società Internet celebrate come il massimo di innovazione e costrette controvoglia ad andare in Borsa – da Google a Facebook – finiscono per somigliare alle più antiche aziende familiari, con poteri concentrati e inattaccabili. Per Page e Brin, in un settore dove le fortune possono cambiare velocemente, il rischio è essere messi in croce in futuro, se dovessero perdere il loro tocco magico.

Ma non solo. Reuters sottolinea come manovre di questo tipo fossero illegali fino agli anni ’80, quando si è tornati alla possibilità di utilizzare più classi di azioni pur affrontandone i rischi correlati. Altri analisti sottolineano inoltre il fatto che se Page e Brin volevano continuare ad avere il pieno controllo del gruppo, avrebbero dovuto semplicemente continuare a tenerlo privato, senza aprirlo alla quotazione pubblica. Chi accetta l’IPO, invece, dovrebbe accettarne anche le più logiche conseguenze e la possibilità di perdere nel tempo l’egemonia decisionale in favore di azionisti arrembanti che intendono scalare la proprietà e prendere in mano le redini dell’azienda.

Chi vede in questa mossa un segno “diabolico”, non accetta che Page e Brin creino una classe C di azioni da sfruttare come compensi ed in un mercato parallelo, poiché ciò significa in qualche modo congelare il quadro di potere a garanzia dei fondatori. I due fondatori, insomma, avrebbero creato un viale parallelo con il quale manovrare sulle azioni senza tuttavia diluire il proprio potere.

Nonostante una buona trimestrale di cassa, le azioni GOOG escono dall’ultima quotazione con una caduta di 4 punti percentuali. Tanto quanto Nokia e Groupon, tanto per intendersi, ossia due gruppi in piena tempesta. La sensazione che trapela dagli analisti finanziari è quella della fine di un idillio, l’interruzione della magia di un gruppo che è partito da 80 dollari di quotazione ed è volato addirittura oltre i 700. Oggi, vicino ai 650 dollari, qualcosa sembra essersi incrinato.

Page e Brin chiedono fiducia e ribadiscono oggi come molti anni fa come soltanto il lungo periodo possa restituire il giusto metro di misura per ogni cosa. Ma il breve periodo dice che il loro lungo periodo è fatto da una assicurazione di potere sempre più sigillata che rischia di legare il portafoglio degli azionisti alle sorti personali di due compagni di avventura che, pur con genio riconosciuto, non possono pretendere l’infallibilità assoluta. Perché chi pensa di essere Dio inizia ad essere… evil.

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