I dischi a stato solido, Parte V

Abbiamo anticipato quali sono gli svantaggi delle unità a stato solido rispetto ai tradizionali dischi magnetici e i limiti attuali delle memorie flash che costituiscono gli SSD. Ma quali sono le possibili soluzioni tecnologiche?

Una delle tecniche adottate per prolungare la vita delle celle di memoria viene denominata bad block management. In pratica, in ogni cella sono presenti alcuni settori di riserva non utilizzati. In caso di fallimento del processo di scrittura, uno o più blocchi logici viene eliminato e rimappato in un settore di riserva. L’utente non si accorgerà di questa operazione, in quanto la capacità totale dell’SSD diminuirà di pochi byte.

Un’altra tecnica utilizzata è indicata con il nome di wear leveling. Il controller tiene conto del numero di scritture eseguite per ogni blocco e distribuisce dinamicamente e uniformemente i dati tra tutte le celle del drive, evitando che una singola cella venga “stressata” maggiormente rispetto alle altre a causa del numero elevato di scritture.

I file system implementati negli attuali sistemi operativi considerano la struttura di un SSD come quella di un hard disk tradizionale, cioè con un’associazione statica tra locazione logica e fisica. In realtà, le memorie flash hanno una struttura simile a quella delle memorie RAM, ovvero esiste un meccanismo di mapping che converte le posizioni logiche in posizioni fisiche.

Per tale ragione sono stati progettati file system specifici per le memorie flash che implementano la correzione degli errori, il remapping dei blocchi difettosi e il wear leveling. Uno dei più noti è il TrueFFS, il cui sviluppo è stato continuato da SanDisk dando origine al file system ExtremeFFS.

Attraverso un algoritmo paged-based, le letture sequenziali avvengono raggruppando più blocchi di file, mentre per le operazioni di scrittura casuale viene sfruttata una cache ed eseguite in modo più efficiente, riducendo il numero di cancellazioni richieste per ogni riscrittura della cella.

Il prossimo Windows 7 integrerà diversi miglioramenti nel file system per ridurre il numero di cicli di lettura e scrittura delle memorie flash. Innanzitutto verrà disabilitata la deframmentazione programmata che, come abbiamo detto, è inutile e dannosa sulle unità a stato solido.

Inoltre, dato che la scrittura di una cella può avvenire solo dopo la cancellazione del contenuto, ovvero non si può aggiornare un file memorizzato in una data locazione, attraverso un comando inviato al controller SATA, sarà possibile conoscere le locazioni già cancellate e quindi ottimizzare l’utilizzo dello spazio esistente.

Un ultimo aspetto da cosiderare sono i consumi. A differenza degli hard disk, la maggior parte degli SSD attuali non integrano sistemi di risparmio energetico. Il massimo assorbimento di corrente si verifica durante le operazioni di lettura e scrittura; in questo caso, i consumi sono molto inferiori rispetto a quelli dei dischi tradizionali. Ma in assenza di attività, cioè nello stato di idle, negli SSD la corrente non si azzera mai, mentre nei dischi rigidi è quasi trascurabile.

I produttori considerano prioritario (in questo momento) lo sviluppo di tecnologie per aumentare le prestazioni e la longevità delle memorie flash, piuttosto che ridurre i consumi e consentire una maggiore autonomia per le batterie dei notebook.

In ogni caso, è solo questione di tempo: il destino degli hard disk è ormai segnato, il futuro si chiama SSD.

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