Il made in Italy sul web: Ulaola apre a Berlino

Il caso Ulaola è un buon esempio di quanto conti la Rete per esportare il made in Italy. E nessuno resta a guardare: Amazon venderà alimenti freschi.
Il caso Ulaola è un buon esempio di quanto conti la Rete per esportare il made in Italy. E nessuno resta a guardare: Amazon venderà alimenti freschi.

La Rete, si sa, è un grande marketplace. E nonostante l’Italia sia indiscutibilmente tra i paesi che hanno più interesse ad occuparlo, sono poche le realtà che ci stanno pensando davvero. Ulaola è un buon esempio di startup che ha accelerato sia sul business che nell’apertura verso l’estero. Grazie al sostegno dell’incubatore DigitalMagics, la startup che promuove l’eccellenza made in Italy ha aperto un round di investimenti che l’ha portata ad aprire una sede anche a Berlino.

Ulaola ha appena rilasciato la nuova piattaforma, che la aiuterà a posizionarsi ancora di più nel settore dell’e-shop, molto sviluppato in Italia, riguardo alle eccellenze nostrane: design, arte, moda. L’ingresso della startup nella compagine del venture capital ha aiutato il CEO Pietro Masi e il suo staff a rafforzare tutto il set tecnologico di un sito abbastanza complesso.

Un e-shop di livello internazionale ormai deve pensare allo shooting fotografico, alla logistica, tradurre le descrizioni, indicizzarle al meglio, occuparsi del customer care, in più lingue.
La novità adottata nella nuova piattaforma è una nuova formula di pagamento centralizzato che passerà attraverso il sito, per garantire la massima tutela del consumatore.

È la morale dell’ultima conferenza NetComm a Milano: l’e-commerce ha potenzialità inespresse in Italia, che possono sostenere la delicata fase economica che vede crollare il mercato dei consumi interno e invece aumentare quello verso l’estero. La bilancia commerciale italiana è ancora dignitosa, nonostante tutto, tuttavia non si può più svalutare e i mercati sono profondamente cambiati: così il made in Italy è in difficoltà.

Come funziona

Ulaola è la tipica piattaforma che lavora con negozi selezionati e i makers, i creativi free lance che vogliono mettersi in vetrina. È PMI del 21° secolo, la piccola impresa all’italiana che vuole vendere in tutto il mondo e che sa i vecchi mezzi e i vecchi canali non bastano più, quindi accetta una commissione di vendita in Rete perché le occasioni sono più appetitose.

Il sito dà la vetrina e i servizi prima citati, fornisce un sistema di pagamento facile, crea una community (al momento di 14 mila persone), dedica un blog alla cultura del made in Italy, col quale pubblicizza anche la sua presenza ad eventi come il fuorisalone milanese. Insomma non fa soltanto puro e-commerce, ma seleziona e promuove per creare una comunità. In generale l’e-commerce italiano sta istintivamente andando in questa direzione: è il modo italiano di presentarsi che passa dalla fissità turistica – lo straniero che compra in Italia – alla mobilità online, dove l’artigiano italiano vende allo straniero che naviga in Rete, ma vuole portarci anche il suo stile.

La vetrina di Ulaola, un e-shop ottimamente realizzato: condivisione su tutti i social, categorie, filtri per le preferenze.

La vetrina di Ulaola, un e-shop ottimamente realizzato: condivisione su tutti i social, categorie, filtri per le preferenze.

Amazon ci copia e guarda al food

E mentre si moltiplicano gli esempi di uso intelligente della Rete per promuovere le eccellenze – un altro esempio è l’idea di Eataly Net – c’è un colosso americano che sta tentando di occupare un settore prima di oggi molto lontano dalle sue capacità logistiche. È notizia recente che Amazon vuole vendere anche il cibo, attività fino ad oggi confinata, per ovvie ragioni, alla sola Seattle (sede della società).

Questo significa che tutti coloro che hanno intenzione di lavorare in Italia e sull’estero sui prodotti deperibili e quelli di qualità (come fa anche Ulaola) hanno ragione nell’investire adesso col massimo dell’impegno. Prima che un colosso occupi pesantemente la quota di mercato dettando le sue regole.

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