Il P2P, la sentenza e il finto revisionismo

Due ragazzi nel 1999 crearono un server FTP per lo scambio di musica. A suo tempo i due furono condannati per aver tratto lucro dall'attività, ma la cosa è stata smentita e la sentenza ribaltata. A distanza di anni l'appello diventa occasione di dibattito
Due ragazzi nel 1999 crearono un server FTP per lo scambio di musica. A suo tempo i due furono condannati per aver tratto lucro dall'attività, ma la cosa è stata smentita e la sentenza ribaltata. A distanza di anni l'appello diventa occasione di dibattito

La normativa cambia nella forma, ma la sostanza è rimasta invariata nel tempo. Per questo motivo una nuova sentenza suggerisce una nuova impostazione interpretativa per un caso avvenuto nel passato cambiando ancora una volta le carte in tavola nel mondo del file-sharing. I media ci mettono poi del proprio e urlano alla rivoluzione per quella che invece è solo una piccola revisione di una decisione fino a pochi giorni fa agli archivi. La sentenza è la 149/2007 della III sezione penale della Corte di Cassazione con la quale viene accolto il ricorso di Eugenio R. e di Claudio F., due giovani già condannati per aver «duplicato abusivamente opere cinematografiche».

I due giovani, in pratica, avevano creato un server FTP su un computer del Politecnico di Torino con cui condividere vari file con altri utenti. Correva l’anno 1999. Il processo aveva sentenziato la loro colpevolezza condannandoli a 100 giorni di reclusione l’uno ed a 20 giorni l’altro, più una piccola pena economica accessoria per entrambi. La sentenza odierna cancella la condanna per un semplice motivo: la legge parla di lucro e per i due ragazzi di lucro non ce n’è stato.

Due commenti sul caso lasciano il segno connotando quelle che sono le sensazioni emergenti in queste ore. Da una parte v’è l’on. Maroni, già in tempi non sospetti schierato in un senso preciso, il quale affida le proprie parole al Corriere della Sera: «è una sentenza rivoluzionaria: stabilisce il principio che la musica è di tutti. D’ora in poi scaricarla dal Web non potrà più essere considerato illegale».

Parallela e contraria l’opinione di Giorgio Assumma, Presidente SIAE: «il disposto della Corte di Cassazione lascia molto perplessi perchè si pone in contrasto con i principi del nostro sistema giuridico ormai acclarati dalla corrente giurisprudenza. Infatti la Cassazione in primo luogo ritiene che uno scambio di opere dell’ingegno tra un numero di fruitori attuato con un mezzo di facile e agevole divulgazione qual è internet configuri un uso personale. L’uso personale, in base alla vigente legge, è l’unica forma di sfruttamento delle opere consentite senza bisogno della preventiva autorizzazione dell’autore o comunque del titolare del diritto. Ma è proprio l’ampiezza della cerchia di persone a cui è stata data, nel caso esaminato dalla Cassazione, la possibilità di accedere alle opere scaricate che fa venir meno l’ambito personale trasformandolo in ambito pubblico».

Assumma critica il punto di vista relativo allo “scopo di lucro”, evidenziando nel risparmio ottenuto dallo scambio un evidente vantaggio economico. L’appello è quindi rivolto al legislatore, affinchè risolva la situazione a monte evitando che sia la giurisprudenza ad avere l’ultima parola sul caso.

I media (innumerevoli gli articoli sulla vicenda) sembrano aver dato spazio più alle speculazioni sul caso che non ai fatti in sè. L’attuale panorama legislativo è molto più definito e particolarizzato rispetto al momento a cui risalgono i fatti, ma inevitabilmente il polverone mediatico sollevatosi porterà importanti ripercussioni sul settore rinvigorendo il braccio di ferro tra major e downloader. Tutto ciò, se non altro, perchè alcuni titoli ed un certo sensazionalismo hanno donato ai fatti un impatto comunicativo del tutto particolare e non privo di distorsioni interpretative.

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