La torre di Babele, bit su bit

«Ecco, tutti quanti formano un sol popolo e parlano la stessa lingua. E questo non è che il principio delle loro imprese! D'ora in poi saranno in grado di fare tutto quel che vogliono!»: cercando la nuova torre di Babele, partendo da Internet
«Ecco, tutti quanti formano un sol popolo e parlano la stessa lingua. E questo non è che il principio delle loro imprese! D'ora in poi saranno in grado di fare tutto quel che vogliono!»: cercando la nuova torre di Babele, partendo da Internet

«Un tempo tutta l’umanità parlava la stessa lingua e usava le stesse parole. Emigrati dall’oriente gli uomini si stabilirono nella regione di Sennaar e vi si stabilirono [Â…] Poi dissero: “Forza! Costruiamoci una città! Faremo una torre alta fino al cielo! Così diventeremo famosi e non saremo più dispersi in ogni parte del mondo!” [Â…] Il Signore scese per osservare la città e la torre che gli uomini stavano costruendo. Disse: “Ecco, tutti quanti formano un sol popolo e parlano la stessa lingua. E questo non è che il principio delle loro imprese! D’ora in poi saranno in grado di fare tutto quel che vogliono!”». Con queste parole inizia il capitolo del Libro della Genesi dedicato alla torre di Babele.

A millenni di distanza dal periodo a cui la leggenda della famosa torre fa riferimento, l’umanità ancora non ha trovato un modo per tornare ad essere un popolo solo, né tantomeno ha trovato il modo per parlare almeno la stessa lingua. Utopia. Lungi dall’arrivare alla situazione precedente alla famosa torre, si può però almeno immaginare la nostra esistenza alla luce di una nuova leggenda, quantomeno romantica, che trasforma il villaggio globale nella Babele del nuovo millennio. Con Internet, almeno, questo tentativo sta per essere fatto seriamente: sotto i colpi dei bit cadono i confini, si fondono le culture, si uniforma il linguaggio. Partiamo dunque proprio di qui: qual è la lingua della nuova Babilonia elettronica?

Domanda stupida? La risposta è ovvia? Solo in apparenza. Siamo tutti d’accordo che la lingua inglese è assolutamente preponderante, e ciò perché sta diventando una base comune sulla quale tutti stanno convergendo: sapere e saper usare l’inglese significa essere in contatto con il web, con il mondo, con chiunque. Significa poter comunicare, significa mettere uno sull’altro i mattoni della torre. Ma l’inglese è solo la base ideale, ed in verità il linguaggio anglosassone ancora non è diventato il linguaggio standard. Il web risulta infatti ancora caratterizzato da una miriade di linguaggi e la frammentazione del mondo politico (nonché la differenza tra vere e proprie culture) permane con forza. Sul web si parla soprattutto l’inglese per due motivi: internet è nata in America e l’intero mondo è interessato a conoscere (almeno capire) tale idioma per motivi economici e politici, nonchè per una certa pressione culturale.

Emblematico il caso italiano. Ad usare il web facendo dell’italiano la lingua di riferimento, infatti, sono nel mondo circa 30 milioni di persone. Non tutte, però, sono italiani viventi in Italia: 28.6 milioni vivono in loco, ben 520.000 sono americani (probabilmente italo-americani), 200.000 svizzeri (la duplice lingua delle zone di confine lascia una sua traccia anche online) e 100.000 australiani. L’Italia, terra di grande emigrazione, ha esportato dunque pizza, mafia e mandolino, ma anche una lingua che ancora oggi vive negli affetti dei discendenti degli emigrati: 30.4 milioni in tutto le persone che accedono al web cliccando sulla bandierina italiana quando un sito offre la scelta della lingua.

Il raffronto è presto fatto: le statistiche valutano in poco più di 68 milioni gli accessi in lingua tedesca (interessante il fatto che ben l’1% degli accessi dall’Italia avverrebbe sfruttando la lingua tedesca come base di navigazione), 33 milioni in lingua francese, 78 in lingua spagnola. Nei soli Stati Uniti ben 45 milioni di persone non accedono al web sfruttando la lingua inglese e ben 15 milioni non sanno neppure la lingua.
Tali cifre (emerse da un monitoraggio Global Reach attivo fin dal lontano 1996) scaturiscono comunque dalla combinazione di dati eterogenei ed un raffronto valido risulta difficilmente accettabile. La valutazione in grado di soppesare con maggiore significato il rapporto di incidenza delle varie lingue è riassumibile nella seguente classifica (nella quale viene confrontata l’incidenza relativa dei vari contenuti del web nelle diverse lingue):

  • English 68.4%
  • Japanese 5.9%
  • German 5.8%
  • Chinese 3.9%
  • French 3.0%
  • Spanish 2.4%
  • Russian 1.9%
  • Italian 1.6%
  • Portuguese 1.4%
  • Korean 1.3%
  • Other 4.6%

Sul web 7 pagine su 10, insomma, sono scritte in inglese. Numeri che parlano di una maggioranza schiacciante, si, ma numeri che non parlano di una maggioranza assoluta. Segue una lingua proveniente dall’emergente Sol Levante, il tedesco e quindi il cinese. La Francia ha esportato la propria lingua in paesi ove il computer è ancor oggi perlopiù ignorato, mentre l’italiano è oggi al livello del koreano.

Tali dati assumono grande significato soprattutto nei confronti di chi intende aprire la propria attività ad un mercato transnazionale: il comune sentore del fatto che inglese, francese e tedesco (e l’italiano per noi italiani) siano un range sufficiente per coprire la maggior parte dell’utenza è per certi versi errato ed un approccio simile rischia di lasciare fuori dal proprio target circa il 10% dell’utenza potenziale. L’inglese fa da panacea e permette di abbassare questa fascia soprattutto tra le generazioni più giovani (addestrate fin da piccole alla lingua anglosassone della nuova Babele).

Dai tempi della torre di Babele in poi il mondo è stato portato avanti da un cocktail di lingue e culture. L’attuale dimensione del web spinge ad una considerazione nuova in cui in qualche modo tutti tendono a voler comunicare, con peraltro tutto l’interesse di capirsi gli uni con gli altri. Per questo il web è ancora una volta elevato ad emblema della globalizzazione («Così diventeremo famosi e non saremo più dispersi in ogni parte del mondo»). In un momento in cui a sgretolare il significato dei confini ci pensa una semplice influenza che colpisce i volatili, il web assume una volta di più quella dimensione babilonica che da tempo gli si dipinge indosso delineando le sue capacità onnicomprensive, omologanti, totalizzanti. In questa dimensione i confini non ci sono più. Ma le lingue si, e le culture anche: se siamo di nuovo all’opera nel paziente lavoro di costruzione della torre delle meraviglie, bit su bit, è pur vero che il cielo è ancor sempre ben lontano. Ma vale la pena provarci: è nella nostra natura.

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