L'ignoranza del web di domani

Su questo blog abbiamo già avuto modo di confrontarci sulla tematica dell’informazione online, partendo proprio dal big del settore: Wikipedia. Parto dall’enciclopedia online perché in questi anni è divenuta il simbolo della cultura online, o, meglio ancora, della cultura democratica online, perché consente a tutti di aggiungere nuove voci e di modificare quelle esistenti, arricchendone i contenuti o migliorandoli.

Wikipedia è gratuita, non ha pubblicità, è presente in decine di lingue diverse e non teme rivali, o meglio, non temeva rivali, perché ora Google inizia ad allungare le mani e a voler sfruttare la sua fama, anche a costo di rinnegare il caro “don’t be evil” che l’ha accompagnata dagli esordi.

Ma perché vi parlo di tutto questo? Per ricollegarmi a due articoli che mi hanno fatto pensare e che sollevano una tendenza, e al contempo un problema, che il web dovrà risolvere, volente o nolente. Parto da un articolo apparso su Webnews, che riprendeva una citazione di Doris Lessing. Il premio Nobel per la letteratura ha dichiarato che Internet ha creato una generazione di ignoranti.

I commenti all’articolo smentiscono chiaramente quanto affermato dalla Lessing, e rispecchiano quello che ognuno di noi, conoscitori e frequentatori della rete, penserebbe: la migrazione dalla lettura, dai libri, al web, non può creare ignoranza, ma solamente colmarla. Il web infatti offre ben più informazioni, di qualsiasi tipologia di medium, in maniera dettagliata e gratuita.

La Lessing si sarà fatta “spaventare” dalle moderne tecnologie, dalla raffigurazione della rete come “non luogo” per eccellenza, ma di sicuro non ha espresso un pensiero condivisibile.

La sua opinione mi ha fatto riflettere e ritengo che il suo pensiero potrebbe davvero acquistare una valenza… fra qualche anno: la Lessing teme che il sapere possa essere perduto perché allontanato dalla sua culla naturale, dai libri, ma non sa che il vero problema della rete non è assolutamente questo. Il vero problema è l’eccesso di informazioni.

Mi ricollego quindi al secondo articolo di cui parlavo, mai più che in questi anni si sta diffondendo la convinzione che siano i contenuti la vera risorsa di ogni sito internet, la chiave per avere successo nel web. Google, meglio di chiunque altro, ci sta insegnando che è davvero così, l’informazione, di qualità, attira visitatori e genera ricavi(ecco perché Knol appare così promettente nelle mani di Google).

Ma tutta questa informazione ha un pessimo effetto, crea ridondanza, di contenuti, di opinioni e di valori, rendendo di fatto il web una mole enorme di dati, a cui però manca un criterio di valutazione e di organizzazione.

La ridondanza di informazioni, e la mancanza di criteri, porta inevitabilmente anche ad una ridondanza di comunicazione, come spiega lo stesso articolo. Se a ciò aggiungete che il futuro del web è collaborativo, e user-generated, è evidente che, senza una valida soluzione, la mole di informazioni renderà il web “poco affidabile”.

Forse la Lessing non ha colto fino in fondo tutto questo, e il suo pensiero può assumere un senso proprio se rapportato a questo aspetto: la scrittura, grazie alla sua “piattaforma”, i libri, ai suoi “standard”(gli autori sono persone competenti, che conoscono gli argomenti di cui parlano) e alla sua tempistica (la diffusione di un libro e la sua affermazione può richiedere anni) non corre lo stesso rischio del web, non può dar vita a biblioteche confusionarie, dove viene messo in dubbio la validità dell’informazione.

Se il web di domani non riuscirà a porre dei filtri alla mole di contenuti prodotti, l’effetto sarà la creazione di un’enorme quantità di informazione senza una scala di valori che ne indichino la qualità.

Neanche la popolarità sembra essere un buon criterio di valutazione, se ragioniamo a lungo termine, e le nuove tecnologie non sembrano porvi rimedio. Questo immenso database di informazioni può fare del web un luogo confusionario, non adatto all’informazione di qualità, e soprattutto non utile per chi la cerca.

Soluzioni? Il web di domani potrebbe davvero essere più grande, più esteso, ma meno utile di quanto lo sia oggi?

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