Riforma Copyright, il Parlamento Europeo approva

Il Parlamento Europeo ha approvato la tanto contestata Riforma del Copyright; al via, adesso, i negoziati con i Paesi membri.
Riforma Copyright, il Parlamento Europeo approva
Il Parlamento Europeo ha approvato la tanto contestata Riforma del Copyright; al via, adesso, i negoziati con i Paesi membri.

Il Parlamento Europeo ha approvato la tanto discussa Riforma del Copyright con 438 voti a favore, 226 contrari e 39 astensioni. La riforma, però, ha subito alcune modifiche all’impianto originale che aveva destato molte polemiche nei mesi scorsi, tanto che la votazione di luglio fu rinviata proprio alla giornata di oggi per avere più tempo per approfondire alcuni importanti aspetti.

Oggetto delle polemiche gli articoli 11 e 13 che il Parlamento Europeo, oggi, ha modificato approvando le proposte dal relatore Axel Voss. L’approvazione del Parlamento Europeo, adesso, da il semaforo verde ai negoziati con il Consiglio. Il risultato del voto ha, subito, portato a diverse reazioni all’interno delle forze politiche del Parlamento Europeo. Per il presidente dell’Europarlamento Antonio Tajani, “la direttiva sul diritto d’autore è una vittoria per tutti i cittadini“, aggiungendo poi attraverso il suo account su Twitter che “il Parlamento europeo ha scelto di difendere la cultura e la creatività europea e italiana, mettendo fine al far-west digitale“.

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Ci sono, ovviamente, anche commenti di senso opposto che criticano aspramente l’approvazione della riforma. Il Movimento 5 Stelle, per esempio, parla di “una pagina nera per la democrazia e la libertà dei cittadini“, evidenziando che con la scusa della riforma del Copyright, il Parlamento Europeo ha di fatto legalizzato la censura preventiva.

Le polemiche derivano soprattutto dal fatto che le modiche apportate agli articoli 11 e 13 del testo per renderli meno ambigui non ne hanno snaturato il contenuto.

Articoli 11 e 13, cosa dicono

L’articolo 11, noto come “Link Tax“, prevede che l’Unione Europea possa imporre ai Paesi membri di fornire agli editori del settore giornalistico, diritti che consentano loro di ottenere una giusta remunerazione per l’utilizzo digitale delle loro pubblicazioni dai provider di informazioni. Teoricamente, dunque, una piattaforma come Facebook potrebbe dover pagare gli editori per inserire un collegamento alle loro pubblicazioni. Gli emendamenti hanno chiarito meglio questo articolo evidenziando che dalla norma sono esclusi i link utilizzati per fini privati e non commerciali. In altri termini, i link che si trovano, per esempio, su Wikipedia non dovrebbero essere toccati da questa nuova normativa.

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Una direttiva che sicuramente avvantaggia gli editori che potrebbero trovare una nuova fonte di remunerazione. Tuttavia, secondo alcuni osservatori, questo articolo potrebbe spingere le grandi piattaforme a disimpegnarsi dal settore editoriale, cosa che andrebbe a penalizzare i piccoli editori.

La posizione del Parlamento rafforza la proposta della Commissione europea in materia di responsabilità delle piattaforme e degli aggregatori riguardo le violazioni del diritto d’autore. Questo vale anche per i cosiddetti snippet, dove viene visualizzata solo una piccola parte del testo di un editore di notizie. In pratica, tale responsabilità imporrebbe a tali soggetti di remunerare chi detiene i diritti sul materiale, protetto da copyright, che mettono a disposizione. Il testo richiede inoltre espressamente che siano i giornalisti stessi, e non solo le loro case editrici, a beneficiare della remunerazione derivante da tale obbligo di responsabilità.

Allo stesso tempo, nel tentativo di incoraggiare le start-up e l’innovazione, il testo esclude esplicitamente dalla legislazione le piccole e micro imprese del web.

L’articolo 13, invece, è quello che ha suscitato maggiore preoccupazione perché secondo qualcuno potrebbe portare a limitare la libertà sul web. L’articolo prevede che le piattaforme debbano dotarsi di un sistema che verifichi tutti i contenuti caricati dagli utenti per bloccare quelli protetti dal Copyright. Si tratterebbe di un sistema molto simile al Content ID di YouTube con la differenza che in questo caso dovrebbero essere vagliati tutti i contenuti caricati dagli utenti.

I deputati hanno introdotto nuove disposizioni che hanno lo scopo di non ostacolare ingiustamente la libertà di espressione che caratterizza Internet. Pertanto, la semplice condivisione di collegamenti ipertestuali (hyperlink) agli articoli, insieme a “parole individuali” come descrizione, sarà libera dai vincoli del copyright.

Qualsiasi misura adottata dalle piattaforme per verificare che i contenuti caricati non violino le norme sul diritto d’autore dovrebbe essere concepita in modo da evitare che colpisca anche le opere che non violano il copyright. Le stesse piattaforme dovranno inoltre istituire dei meccanismi rapidi di reclamo (gestiti dal personale della piattaforma e non da algoritmi) che consentano di presentare ricorsi contro una ingiusta eliminazione di un contenuto.

I critici mettono in evidenza che questi filtri, per quanto sofisticati, non sono affidabili al 100% e oltre a non bloccare proprio tutti i contenuti protetti da diritto d’autore, in alcuni casi bloccano anche contenuti liberi. I più critici, dunque, temono che un sistema analogo possa andare a bloccare involontariamente contenuti leciti limitando la libertà di espressione delle persone. Inoltre, sistemi così sofisticati sono molto costosi e molto difficili da gestire. Difficile, dunque, che tutte le piattaforme, anche le più piccole, possano dotarsene.

Le modifiche apportate all’articolo 13 includono la possibilità per le piattaforme di dotarsi delle licenze necessarie da applicare online per concedere la pubblicazione di specifici contenuti. Una soluzione che permetterebbe di risolvere molte problematiche di gestione dei contenuti e non appare strano, dunque, che tra i maggiori sostenitori di questa norma ci siano le etichette discografiche e le major cinematografiche.

Il testo del Parlamento rafforza la posizione negoziale di autori e artisti consentendo loro di “esigere” una remunerazione supplementare da chi sfrutta le loro opere, nel caso il compenso corrisposto originariamente è considerato “sproporzionatamente” basso rispetto ai benefici che ne derivano. Tali benefici dovrebbero includere le cosiddette “entrate indirette”.

Le misure approvate consentirebbero inoltre agli autori e agli artisti di revocare o porre fine all’esclusività di una licenza di sfruttamento dell’opera, se si ritiene che la parte titolare dei diritti di sfruttamento non stia esercitando tale diritto.

Il prossimo step sarà l’avvio dei negoziati tra l’Europa e i Paesi membri. Tale passaggio durerà circa un anno e se non ci saranno opposizioni, la nuova riforma entrerà in vigore. Tuttavia, se uno o più Paesi dell’UE dovessero opporsi, c’è ancora la remota possibilità che la riforma possa saltare.

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