Social Media Lab: social network e applicazioni in ambito accademico

Social Media Lab: social network e applicazioni in ambito accademico

L’evento si è svolto (come annunciato qualche giorno fa da Giacomo Dotta sul Blog Webnews) il 27 novembre 2007 presso l’università IULM di Milano. Noi eravamo presenti e in questo articolo ci piacerebbe far emergere, e quindi discutere con voi, i punti fondamentali della conferenza.

Il programma lo trovate nella notizia di Giacomo e quindi non lo riportiamo per evitare inutili ripetizioni, in questa sede mi limiterò a riassumere brevemente gli interventi e a delineare le mie personali opinioni in merito.

Ha aperto la conferenza l’intervento, in lingua Inglese, di Craig Smith, del Team O’Reilly. Mr Smith, dopo aver ironizzato su come dovesse necessariamente concordare con il suo capo relativamente alla definizione di Web 2.0, ha messo in evidenza come questo termine sia largamente impiegato da persone che non si occupano veramente di questo ambito e non ne hanno conoscenze tecniche adeguate.

Si assiste quindi ad una sorta di svalutazione del termine per cui l’uso dello stesso è in mano a “coloro che non sanno”.

Difficile non concordare con una visione del genere quando ci si trova di fronte ad una speculazione così grande su tali definizioni

Nello stesso ambito ha poi messo in risalto quelli che sono (secondo la sua visione) i punti cardini del Web 2.0:

  • Partecipation (Architecture of partecipation);
  • Web as Platform;
  • Data centricity;
  • Software as a Service.

Punti fondamentali che qui nel network abbiamo anche noi analizzato più volte. E che potete, volendo, approfondire leggendo l’articolo dello stesso O’Reilly al quale è stato ispirato l’intervento.

Craig Smith ha messo anche molto l’accento su come in ambito Web, l’utilità di una qualunque applicazione sia direttamente proporzionale alla sua popolarità. Cosa ne pensate voi?

Siete d’accordo con il mettere in evidenza questi aspetti di cooperazione e condivisione? Ne evidenziereste altri?

Io trovo che quelli evidenziati siano corretti e siano fondamentali, ma non credo che necessariamente la popolarità di un servizio sia strettamente connessa alla sua utilità.

Un intervento introduttivo dunque che era fondamentalmente mirato a mettere in evidenza quali fossero le specifiche 2.0 e le caratteristiche in grado di rendere tale il Web nel quale noi navighiamo.

L’intervento successivo, quello di Christian Ahlert si è focalizzato sulle applicazioni 2.0 all’interno delle realtà aziendali. OpenBusinness è il nome del progetto presentato. Gli esempi fatti per quanto riguarda l’open-business variavano da realtà come Zopa.com a SellaBand: un modello di social network esplicitamente creato per piccoli gruppi di musicisti emergenti.

Di sicuro tra i punti fermi emerge quello relativo al futuro della applicazioni definite come open business a dispetto di quelle tradizionali e closed, che comportano vincoli maggiori e che nella realtà di oggi cominciano a non essere più praticabili.

Resta da definire se e come queste realtà siano concretamente implementabili e in grado di garantire una sicurezza effettiva fuori dagli ambiti Web based.

In che maniera si potrebbe concretizzare un progetto come quello di Zopa o di Sellaband? Sicuramente un discorso del genere merita una riflessione approfondita se non altro per le importantissime implicazioni in grado di sollevare nel prossimo futuro.

Da segnalare poi anche l’intervento di Francesco D’Orazio (che ha coordinato anche la conferenza) relativamente al social networking.

Al di là della contestualizzazione storica e della spiegazione della teoria alla base dei social networking, quella dei sei gradi di separazione, anch’egli ha sottolineato gli aspetti caratterizzanti del Web 2.0: creazione, condivisione, tagging (folksonomy), collaborazione e incontro.

Con i social-network, ma in generale con tutto ciò di cui stiamo parlando, il media cambia radicalmente il suo aspetto e la sua funzione: l’aspetto di personalizzazione diviene fondamentale, il media contiene il pubblico che diviene esso stesso una parte in grado di configurare il mondo in cui abita, il contenitore in cui è contenuto.

Da sottolineare anche i due interventi di Stefano Mizzella dell’università Milano Bicocca e Mario Pireddu del progetto Moodle che ha messo in evidenza le possibili e le concrete applicazioni in ambito universitario.

Gli strumenti che abbiamo a disposizione sono molteplici e la possibilità di utilizzo dei social network e della applicazioni 2.0 all’interno di una realtà scolastica o accademica sono veramente enormi.

L’università di Berkley (per esempio) permette di seguire le lezioni in formato podcast e molte altre università stanno seguendo il suo esempio attivando anche dei laboratori virtuali o visivi.

Lascio, per il momento, le conclusioni, le domande, le richieste di approfondimento o chiarimento ai lettori.

Prometto di approfondire le realtà emerse in altri post dedicati nello specifico agli interventi, nel caso questo sia di vostro interesse, ovviamente.

In chiusura: qualcuno di voi era presente? Ha qualcosa da aggiungere?

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