Un device per un'applicazione

Progettare dispositivi per uno specifico compito porta, in genere, alla realizzazione di device altamente ottimizzati e performanti. Pensiamo allo skypefonino della 3 o ai vari SalvaVita Beghelli, ad esempio. Prodotti adatti a tutti quei consumatori che non fanno della tecnologia il loro pane quotidiano e giustamente non vogliono perdere tempo a installare programmi, configurarli e verificare che tutto funzioni, ma desiderano un prodotto da usare out-of-the box, pronto subito dopo averlo estratto dalla confezione.

Sembra quindi che legare un hardware e un software allo svolgimento di poche e ben definite funzioni sia positivo per il mercato, rispetto all’approccio in cui ci sono alcuni soggetti che propongono device generalisti, ce ne sono altri che producono software in grado di funzionare sul più ampio parco hardware disponibile, e al consumatore finale è lasciata la scelta di decidere cosa combinare per meglio risolvere le proprie esigenze, sobbarcandosi la risoluzione di eventuali problemi.

Quanto appena detto troverebbe una giustificazione ancora maggiore nel campo del mobile, dove la grande eterogeneità di device esistenti rende quasi impossibile la creazione di programmi “write once, run everywhere” “(scritti una volta, eseguiti ovunque)”.

Inoltre, ci sono esempi eccellenti di grandi attori nel mercato ITC che seguono questa filosofia: Apple da sempre vende i suoi Mac con hardware esclusivamente deciso da loro. Google, con le molte applicazioni che sta appositamente sviluppando o per Blackberry, o per iPhone, o per Windows Mobile, non sembra voler rendere fruibili i suoi servizi più avanzati alla maggior platea possibile, ma più realisticamente sembra voler creare delle nicchie dove, per accedere alle funzionalità messe a disposizione, occorre necessariamente essere legati ad un certo hardware.

Ma è tutto oro quello che luccica?

Supponiamo per un attimo che non ci siano limiti pratici affinché un certo software possa girare anche su un altro hardware diverso da quello dove funziona attualmente. Continuare a mantenere questo vincolo non rappresenterebbe una forma di concorrenza sleale? Sarebbe come porre di fronte ai consumatori la seguente situazione: Vuoi questa funzione? Bene, comprati questo e solo questo dispositivo. Anche se magari un altro smartphone più economico potrebbe fare la stessa cosa, ti costringo ad usare solo il mio.

Facciamo qualche esempio: l’iPhone 3G è dotato di unità GPS, ha un ampio schermo e un buon processore. Possiede quindi tutte le carte in regola per essere un ottimo navigatore. In base alla sua diffusione, inoltre, ritengo che il potenziale mercato intorno a questo dispositivo invoglierebbe aziende come TomTom a produrre una versione del proprio navigatore anche per il melafonino. E invece non ce n’è traccia in giro. Continuiamo con l’ottimo client per Facebook presente nel Sony Xperia, oppure il TouchFLO 3D che rende l’uso delle principali funzioni di un HTC più intuitivo rispetto a quanto offerto nativamente da Windows Mobile.

Qualcuno potrebbe obiettare che, se queste aziende investono per realizzare certi programmi, lo fanno perché possono portare chi ne vuole usufruire a comprare necessariamente il loro hardware, trovando in ciò il proprio tornaconto.

Ma siamo sicuri che nel medio-lungo periodo questo approccio si dimostri competitivo e vincente? Quando si sente parlare un po’ ovunque di standard aperti, di intercambiabilità delle informazioni, il legare l’accesso a determinati dati solo da un certo device ha senso?

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