Vinile: pochi impianti per sostenere la domanda

La domanda di dischi in vinile cresce senza sosta, ma gli impianti produttivi esistenti risultano sottostimati, a seguito della dismissione degli anni '90.
La domanda di dischi in vinile cresce senza sosta, ma gli impianti produttivi esistenti risultano sottostimati, a seguito della dismissione degli anni '90.

La domanda di dischi in vinile non è mai stata così alta come negli ultimi anni. Sebbene alla fine degli anni ’90 pareva che per solchi e puntine non vi fosse più futuro, a partire dal 2010 si è assistito a una vera e propria resurrezione, giunta al culmine a fine 2016, con il superamento della vendita di 33 e 45 giri sui sempre meno gettonati download digitali. Una domanda che, tuttavia, ha generato non pochi grattacapi a livello industriale: gli impianti oggi attivi, infatti, faticherebbero a mantenere la produzione al passo con la richiesta.

L’audio digitale non è riuscito a scansare l’emozione dell’ascolto di un vinile, un rituale che ancora oggi affascina tantissimi ascoltatori in tutto il mondo. Nel 1973, la produzione di vinili raggiungeva il 76% di tutta la musica venduta, un dato pronto a cadere a picco nel 1993, con una percentuale dell’1.5%, dovuta all’esplosione dei CD. Eppure, a partire dal 2010, vi è stata una vera e propria rinascita, con dei ritmi di distribuzione oggi non troppo lontani dagli anni ’80. Vi è però un problema produttivo, così come sottolinea l’Economist in un recente approfondimento: gli impianti di produzione sarebbero numericamente sottostimati rispetto alla domanda, perché molti di quelli un tempo esistenti sono stati dismessi proprio durante gli anni ’90.

Gli intoppi non sembrano essere gravosi nella fase di produzione di massa, ovvero la stampa di numerose copie in sequenza a partire dalle lacche originali. È la finalizzazione di queste ultime, così come la creazione dei master, che vedrebbe a disposizione dell’industria discografica solo una manciata di società specializzate in tutto il mondo. Nella maggior parte dei casi, si tratta di realtà che forniscono sia la realizzazione di lacche e master che la stampa di massa. Tra le tante, l’Economist cita GZ Media, un’azienda ceca passata dai 13 milioni di dischi l’anno nel 1987 ai 200.000 del 1993, per tornare in gran voga oggi, con una previsione di 24 milioni di vinili entro la fine del 2017. Fino al 2014 la società si è avvalsa delle sue vecchie macchine di stampa, mentre ora ha aggiornato gli impianti, forte della rinascita del mercato.

Nel frattempo, diverse startup si sono dedicate nella finalizzazione di processi industriali che possano essere, al contempo, più economici ma dalla qualità d’incisione più elevata. Newbilt, una startup tedesca, fornisce per 500.000 euro macchine di stampa complete, operate manualmente, capaci di garantire almeno 400 dischi ogni giorno. Viryl Technologies, una realtà canadese, ha invece finalizzato una tecnologia per raggiungere i 1.200 dischi nell’arco delle 24 ore, mentre l’australiana Rebeat Digital ha brevettato un sistema per l’incisione laser delle lacche, escludendo quindi il ricorso al tornio, per una qualità di riproduzione meno disturbata.

Per quanto oggi permangano dei colli di bottiglia sulla fornitura, l’intero settore sarebbe però in fermento. In molti pare abbiano deciso di investire sul vinile, sia recuperando vecchi impianti dismessi che aprendone di nuovi, forse per cavalcare il trend odierno. Non una scelta affrettata così come potrebbe apparire, stando all’Economist, poiché oggi vi sono certezze diverse rispetto agli anni ’90: mentre ai tempi si pensava il vinile potesse scomparire completamente, oggi è palese come si tratti di un supporto destinato a non morire mai. Vi potranno essere sì fluttuazioni di mercato, così come future riduzioni della produzione, ma la domanda tornerà ciclicamente.

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