Blogger o giornalisti?

La guerra in Iraq sembra aver dato la consacrazione definitiva ai weblog come fonti di informazione. Nel momento di maggiore popolarità, i blogger scoprono responsabilità inedite.
La guerra in Iraq sembra aver dato la consacrazione definitiva ai weblog come fonti di informazione. Nel momento di maggiore popolarità, i blogger scoprono responsabilità inedite.

Se l’11 settembre 2001 è stato il primo vero banco di prova delle news online (una prova solo in parte superata, peraltro), il conflitto in Iraq potrebbe essere stato il punto di svolta per i weblog. Già durante gli attentati di New York e Washington i blog si erano rivelati una preziosa fonte di notizie e racconti su quelle ore drammatiche, ma il fenomeno era ancora abbastanza limitato. In questa seconda Guerra del Golfo, invece, i blog si sono messi prepotentemente al centro della scena, proponendosi come più autentica ed efficace espressione del giornalismo online. È dunque il momento di domandarsi: come sono usciti i blog dal conflitto?

Com’era prevedibile, l’attenzione degli altri mezzi di comunicazione e la presunzione di presentarsi come fonte alternativa di notizie, hanno posto per la prima volta seriamente il problema della legittimazione dei blog come medium giornalistico.

Un tema comparso anche durante BlogAge, la conferenza italiana dei blogger tenutasi a Milano un paio di settimane fa; in quel caso, gli intervenuti non hanno espresso particolare urgenza di essere legittimati, non riconoscendo agli “old media” alcuna autorità legittimante ed anzi, alla domanda “Possiamo dirci giornalisti?”, hanno talvolta crocianamente sostituito “Possiamo non dirci giornalisti” quando non proprio “Vogliamo dirci giornalisti?”, quasi a chiedersi se l’essere giornalista sia piuttosto un difetto che una qualità.

Negli Stati Uniti, il dibattito è più articolato, anche a causa di alcune differenze non trascurabili rispetto alla realtà italiana: innanzitutto i blog di guerra statunitensi più famosi sono scritti direttamente dall’Iraq, quindi sono a tutti gli effetti fonti di prima mano, alternative ai canali ufficiali; essendo poi gli USA un paese belligerante, i blog possono diventare uno strumento indispensabile per conoscere ciò che l’informazione ufficiale non passa. Una questione non da poco se si considera che, a parte uno o due casi, i blogger di guerra statunitensi si trovano in Iraq per conto di testate come CNN, Time o NBC, e devono barcamenarsi tra la doppia fedeltà ai lettori e all’editore.

To blog or not to blog?” è quindi diventato il dilemma dei media statunitensi. Una domanda alla quale ad esempio la CNN ha risposto negativamente, costringendo il corrispondente Kevin Site a sospendere il suo blog. Altre compagnie, come MSNBC e Knight-Ridder, si mostrano invece più aperte ed incoraggiano i propri giornalisti a bloggare, pur sottoponendo ogni post ad un rigoroso controllo editoriale. Un modo per evitare brutte figure come quella di The Agonist, uno dei warblog più famosi risultato successivamente in gran parte frutto di un plagio.

Casi come questo non hanno comunque offuscato l’immagine dei blog, tanto più che Sean Paul-Kelley, il curatore di The Agonist, è stato smascherato da un altro blogger, proprio mentre i vecchi media se lo contendevano nelle interviste. I blog si sono presi il ruolo di “new entry” che nella Prima Guerra del Golfo era appartenuto alla CNN. Christopher Allbritton, un ex giornalista dell’Associated Press e del New York Times che pubblica il suo blog iracheno grazie all’aiuto dei lettori, è stato definito l’unico vero giornalista indipendente del conflitto.

Il primo esame, dunque, è superato. Vedremo cosa ne seguirà.

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