Anche Microsoft ha il suo Locationgate

Una class action nei confronti di Microsoft cerca di far luce sulla vicenda Locationgate in cui sarebbe implicato anche il gruppo di Redmond.
Una class action nei confronti di Microsoft cerca di far luce sulla vicenda Locationgate in cui sarebbe implicato anche il gruppo di Redmond.

Lo scandalo Locationgate coinvolge anche Microsoft: dopo le accuse mosse nei confronti del gruppo di Redmond durante lo scorso mese di aprile, infatti, ecco giungere una class action nei confronti della società guidata da Steve Ballmer. Nell’occhio del ciclone vi sarebbe la piattaforma mobile Windows Phone 7, rea di spiare gli utenti ad insaputa di questi.

Dopo Apple e Google, dunque, anche Microsoft riceve l’etichetta di “azienda spiona”, violando di fatto il diritto alla privacy dei propri clienti. Il tutto sarebbe riconducibile ad un comportamento improprio da parte della fotocamera dei dispositivo con a bordo Windows Phone 7, i quali continuerebbero a raccogliere informazioni sulla localizzazione degli utenti anche nel caso in cui questi ultimi abbiano disabilitato le apposite funzionalità per il tracciamento via GPS. Tali informazioni, poi, sarebbero inviate alla società di Redmond.

La denuncia, depositata presso la Corte Federale di Seattle, denuncia chiaramente un atteggiamento scorretto da parte di Microsoft, che avrebbe volontariamente installato un software per tracciare i propri utenti indipendente dalle impostazioni scelte da questi ultimi. La richiesta degli utenti non è ancora nota, ma si pensa che l’obiettivo finale della class action sia quella di ottenere un risarcimento per la violazione del diritto alla privacy ed una qualche azione forzata nei confronti di Microsoft.

La vicenda riporta poi nuovamente a galla i problemi legati alla geolocalizzazione, funzionalità sempre più presente nei dispositivi di ultima generazione ma allo stesso modo costantemente al centro di problematiche legate alla riservatezza. Diversi sono i gruppi accusati di aver intenzionalmente violato la privacy dei propri utenti, con utenti volenterosi di rivendicare i propri diritti in tribunale: restano tuttavia da valutare le colpe effettive delle aziende in questione, sul cui operato aleggia ancora un’ombra di mistero.

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