Dal 2016 carta proibita nella PA

Le pubbliche amministrazioni hanno 18 mesi di tempo: il già esistente va archiviato digitalmente, i nuovi documenti creati solo in formato elettronico.
Le pubbliche amministrazioni hanno 18 mesi di tempo: il già esistente va archiviato digitalmente, i nuovi documenti creati solo in formato elettronico.

Tutto nella formazione, trasmissione, copia, duplicazione, dei documenti informatici nella pubblica amministrazione è destinato a cambiare e a diventare lo standard nel rapporto con l’esterno. La pubblicazione in Gazzetta del decreto dello scorso novembre chiarisce gli obiettivi e i tempi del governo: lo switch off è tra 18 mesi.

Il testo del decreto raccoglie di fatto vecchie e nuove disposizioni che vanno a comporre il Cad (Codice amministrazione digitale), ed è stato coordinato dall’Agid, che nell’area pa sta facendo sentire la sua viva presenza, basti pensare al decreto 90 sui database digitali. D’altronde le questioni sul tavolo sono due: il preesistente e il digital first, con le sue piattaforme abilitanti, le varie azioni trasversali a partire dallo SPID, il servizio pubblico di identità digitale. «Questo decreto è un primo passo», commenta Alessandra Poggiani, «il prossimo è pensare digitale invece che digitalizzare l’esistente». Le cose stanno esattamente così, tanto che agli Stati Generali dell’Innovazione si parla di un testo unificato che riveda il codice attuale.

Tutto quanto da analogico a digitale

Cosa comporta il decreto del governo? Dà sostanza terminologica e metodica ai compiti delle amministrazioni e cerca anche di mettere un po’ di fretta. Di fatto, spiega che nel 2016 in Italia tutti i documenti dovranno essere prodotti, scambiati, duplicati e conservati in formato digitale. E questo varrà per le pubbliche amministrazioni e per i privati, che però sono già più avanti e comunque verranno spinti nella stessa direzione dato il rapporto necessario con lo stato, non avendo un obbligo specificato nel decreto che ha un ambito a geometria variabile: il Cad ma anche «gli altri soggetti a cui è eventualmente affidata la gestione o la conservazione dei documenti informatici».

Il passaggio dalla carta al formato elettronico sembra scontato, ma non è così. Certo è già molto sviluppato, tuttavia senza questo decreto che fa partire il conto alla rovescia la funzione pubblica non avrebbe uno strumento minimo di responsabilizzazione dei dirigenti e questo manderebbe a monte la futura riforma di tutta la pubblica amministrazione, che si preannuncia molto orientata al digitale e deve contare su un lavoro pregresso. Inoltre, le definizioni precise degli oggetti e del loro trattamento chiarisce meglio cosa si deve fare.

Pdf, non scansioni

C’è però un piccolo problema, nell’articolo 4 del Capo II del decreto, si fa cenno al documento digitalizzato come immagine. Un vecchio vizio delle pa che Roberto Scano ha prontamente evidenziato, rammaricandosi che il DCPM non menzioni il decreto Profumo del 2013, che incardina l’archiviazione alla necessità di rendere le documentazioni degli uffici pubblici pienamente accessibili a tutti, anche ai non vedenti.

In soldoni: se quando si archivia si prende un pezzo di carta e se ne fa una scansione, distruggendo l’originale, si fa un danno, perché quella immagine non può quasi mai essere letta da un software, mentre un documento in open word o pdf invece è leggibile da un sintetizzatore vocale. Anche questo è preoccuparsi della scomparsa della carta e del passaggio al digitale: non lasciare indietro nessuno.

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