Se gli autori professionisti scrivono per la rete è un bene?

Si parla molto in questi giorni dello sciopero degli autori statunitensi. In poche parole tutti gli scrittori di cinema e televisione (intesa sia come show televisivi che come serie tv) non scrivono più una riga dal 5 Novembre.

Il motivo, in due parole (qui per una spiegazione migliore), è il mancato accordo nel nuovo contratto sulle royalties che devono provenire (e ora non provengono) anche dalla riproposizione in rete del materiale che scrivono. La storia è interessante per come mette sotto i riflettori finalmente il fatto che in rete esiste una dimensione nuova e diversa della fruizione mediatica e non si può dimenticarlo. Ma c’è qualcos’altro di cui si parla meno.

Gli effetti dello sciopero possono essere devastanti per l’industria: l’ultima volta che è accaduta una cosa simile, nel 1988, durò 5 mesi e causò la cancellazione di molte serie per calo di ascolti dovuto alla caduta di qualità e perdite terrificanti per emittenti e case di produzione.
Ora però gli autori hanno una “scappatoia”. Il sindacato infatti ha proibito a tutti di scrivere per qualsivoglia produzione cinematografico-televisiva ma non per quelle per la rete e questo per due motivi. Il primo è che il motivo del contendere è la retribuzione a seguito della diffusione in rete e dunque se scrivono direttamente per la rete di certo verranno pagati e il secondo è che scrivendo per la rete di certo non avvantaggiano i loro soliti padroni che comunque continuano a rimanere danneggiati.

A questo punto, sempre qualora lo sciopero si dovesse protrarre così a lungo da indurre gli autori a trovare altre fonti di reddito in rete, le web series e gli show di internet che fino ad ora si sono barcamenati con autori non di primo piano (e si vede) si troverebbero di colpo la serie A delle penne. Gli autori di Lost, I Simpson, David Letterman, CSI ecc. ecc. sarebbero al servizio delle produzioni per la rete, cosa che se nell’immediato può far gridare di gioia chi come me segue con passione le novità del video online, dall’altra genera qualche preoccupazione.

Fino ad ora infatti la cifra distintiva del web video è stata la sostanziale identità tra chi produce e chi fruisce, il fatto che le serie per il web sono fatte da poche persone e viste da poche persone, due gruppi di persone che sostanzialmente si somigliano. Dunque non è il massimo della qualità, nè coinvolge il massimo delle professionalità ma il video in rete parla direttamente a me (inteso come spettatore di nicchia), non è rivolto al pubblico generalista della televisione, non deve accontentare nè essere capito da tutti, ma solo da me.
Questa dimensione molto snob ma tanto soddisfacente è comunque destinata a finire perchè comunque prima o poi anche il video in rete diventerà mainstream (per quanto poi interverranno le note dinamiche di coda lunga che dovrebbero assicurare comunque contenuti di nicchia, facendo finalmente emergere il vero specifico della rete), ma forse la sua fine potrebbe essere accelerata da questo probabile travaso di competenze.

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