Il file sharing fa bene all'economia?

Uno studio olandese dimostra come i soggetti più coinvolti nella pirateria informatica di materiale sottoposto a copyright poi sono i medesimi che spendono di più per i propri interessi riportando all'industria anche più soldi di quelli che sottraggono
Uno studio olandese dimostra come i soggetti più coinvolti nella pirateria informatica di materiale sottoposto a copyright poi sono i medesimi che spendono di più per i propri interessi riportando all'industria anche più soldi di quelli che sottraggono

La compagnia di ricerca olandese TNO ha completato e portato in rete un report di 142 pagine, commissionato dal Ministero per gli Affari Economici olandese, su un’indagine approfondita realizzata in merito al file sharing e alle sue conseguenze sull’economia. Il risultato, per molti versi sorprendente e tale da suscitare sicure obiezioni immediate, è che si tratta in fin dei conti di un principio virtuoso.

Secondo lo studio infatti per tutti i settori colpiti dalla pirateria informatica (musica, cinema e videogiochi) il peer to peer è qualcosa che spinge in avanti l’economia. Nonostante infatti le canzoni coperte da copyright siano scaricate e fruite senza versare il denaro dovuto, l’effetto generale è che si consuma di più di un determinato ambito culturale (sia esso musica o film o videogiochi) e non più gratuitamente.

La teoria avanzata da TNO è che lil consumo gratuito di beni culturali diventa propedeutico in molti casi ad un acquisto che altrimenti non sarebbe mai avvenuto. Un’onda positiva quantificata nell’ordine di 100 milioni di euro in più che, sempre secondo lo studio, determinerebbe un guadagno maggiore delle perdite.

I pirati del copyright olandesi sarebbero dunque più assidui frequentatori di sale o concerti di chi invece non pirata. Sono i cosìddetti heavy users, una frangia che più ha più vuole, e più gode nel consumare. La pirateria, in tal senso, contribuirebbe ad aumentare la massa di chi può essere definito heavy user.

Parallelamente una tesi simile ha portato ad una delle prime decisioni importanti dalla causa Stati Uniti contro Dove, in cui Daniel Dove è accusato di diffusione di materiale sottoposto a copyright attraverso un gruppo torrent chiamato Elite Torrents. La decisione si prevede come cardinale e stabilisce che il download o la condivisione illegale non equivale ad una perdita paritetica in vendite, proprio perchè non è detto che ciò che si scarica lo si sarebbe altrimenti acquistato.

Ciò significa che gruppi come la RIAA o la MPAA non potranno più chiedere risarcimenti basati sulla matematica operazione di moltiplicare il costo di una canzone per il numero di volte che essa è stata scaricata online.

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