Sono le darknet il futuro del P2P?

Con la parola darknet (usata di solito in riferimento al progetto Freenet) si intende una piccola rete formata da pochi amici fidati che si scambiano materiale totalmente al riparo da “occhi indiscreti”. È un termine nato in informatica negli anni settanta e riportato in auge negli anni duemila, ma a ben vedere può essere applicato anche nella vita di tutti i giorni, allorquando, per esempio, ci incontriamo con i nostri conoscenti più intimi per scambiarci dischi o libri.

Dopo l’uscita di LimeWire 5.1.1, che permette la creazione di una darknet con pochi semplici click, si sta discutendo molto sul futuro e l’utilità di questo tipo di connessioni, specie in rapporto alla guerra al file sharing “tradizionale” che ormai non conosce tregua.

Con un post su Ars Technica, Nate Anderson esalta le darknet per la loro capacità di garantire il pressoché totale anonimato e il loro essere praticamente impossibili da accedere se non se ne conoscono i membri. Un muro invalicabile per i tanti “investigatori di Internet” al soldo delle major:

Ci si può infiltrare in grandi darknet, ma in reti formate da 10 amici? 20 amici? Una famiglia estesa? Sarà quasi impossibile sapere ciò viene trasferito al loro interno.

Di tenore totalmente opposto l’articolo di Janko Roettgers su NewTeeVee. Per Roettgers la nuova funzione di LimeWire è tutto fuorché una novità; infatti, molti altri software hanno cavalcato in passato (e cavalcano ora) l’onda delle darknet, senza incontrare mai il favore degli utenti. Il motivo è presto detto:

Ricercatori e critici del diritto d’autore usano esempi come questi [delle reti private] per controbattere contro i processi al file sharing, sottolineando (come fa Anderson nel suo pezzo) che aumentare la pressione legale non avrà altra conseguenza che spingere gli utenti nell'”underground”. [Ma] la RIAA ha denunciato più di 30000 file-sharers in questi anni, eppure siti come The Pirate Bay sono più popolari che mai. Persino paesi come la Germania, nei quali si sono registrate letteralmente centinaia di migliaia di cause contro il file sharing, vedono ancora buoni livelli di traffico P2P pubblico. È difficile credere che gli utenti si spaventeranno fino a nascondersi a causa delle paventate “notifiche di avvertimento” da parte dei loro ISP, che fra l’altro potrebbero non avere nessuna reale conseguenza.

Ma c’è anche un altro fattore per cui i sostenitori del P2P non vedono di buon occhio le darknet, e cioè che esse sono in realtà la negazione stessa della filosofia del file sharing, che prevede appunto la libera circolazione e condivisione dei file. L’esatto contrario di quanto avviene in una darknet, dove tutto gira intorno ad un nucleo ristretto, isolato e virtualmente irraggiungibile. Un argomento simile viene spesso usato contro i tracker BitTorrent che forzano gli utenti a registrarsi prima di poter effettuare i download, senza molta persuasione, in verità, giacché gran parte del successo del protocollo BitTorrent è dovuto proprio all’esistenza dei tracker privati.

Infine, esiste anche un altro punto, molto delicato, che spesso viene tirato in ballo quando si parla di network totalmente anonimi: se la mancanza di controlli fosse totale, i criminali veri (si pensi ai pedofili) avrebbero a disposizione una terra di nessuno dove poter commettere reati di natura ben maggiore del semplice scambio di una canzone.

Insomma, ben vengano le darknet, ma il P2P vero è un’altra cosa.

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