Quando la pubblicità è invisibile

90 iframe in una sola pagina, con tre banner per ogni iframe, significa una moltiplicazione virtuale e truffaldina degli spazi pubblicitari e dei costi per gli advertiser. Il tutto è diventato un modello di business per una serie di siti complici
90 iframe in una sola pagina, con tre banner per ogni iframe, significa una moltiplicazione virtuale e truffaldina degli spazi pubblicitari e dei costi per gli advertiser. Il tutto è diventato un modello di business per una serie di siti complici

Il Wall Street Journal ha notificato la scoperta di un mercato truffaldino che rischia di minare la credibilità dell’advertising online. La storia è interessante poiché rende evidente quanto l’inganno possa nascondersi tra le maglie della tecnologia, creando fortuna per qualcuno ai danni di qualcun’altro. Per il settore, però, ne nasce una sacca priva di redditività che inquina i dati e getta un’ombra sulla credibilità del comparto.

La scoperta nasce dall’analisi degli investimenti pubblicitari di gruppi quali Kraft Foods, Greyhound Lines e Capital One Financial. La ricerca, firmata dal professore della Harvard Business School Ben Edelman, ha messo in luce la vendita di spazi pubblicitari fittizi, tali per cui alcuni editori vendevano più advertising di quanto il loro sito non potesse in realtà disporne. Per le aziende indicate il danno era pari a migliaia di dollari, cifra che rappresentava al contrario la fortuna commerciale degli editori truffaldini.

Lungi dall’essere frutto di semplice errore, la moltiplicazione degli spazi era frutto di un evidente dolo di natura prettamente tecnica. Le pagine, infatti, contenevano decine di iframe (fino a 90 in alcuni casi), taluni totalmente invisibili ed altri grandi appena pochi pixel. Ogni singolo iframe rappresentava una sorta di layer pubblicitario del sito, contenente alcuni banner la cui presenza era calcolata, ma la cui visibilità era ovviamente resa impossibile dalla dimensione degli iframe su cui erano posizionati.

Ben Edelman

Secondo Edelman la truffa era diventata un vero e proprio modello di business per alcuni editori, ed alla scoperta della matrice truffaldina gli advertiser si son trovati con migliaia di dollari a disposizione per le proprie campagne pubblicitarie. Il danno nel lungo periodo, pertanto, era stato di assoluto rilievo. Tra i siti colpevoli vengono segnalati MyToursInfo.com, RouteTraffic.com e MyProfilePimp.com, mentre tra gli ad server sfruttati si annoverano invece nomi quali Burst Media, ValueClick, Adtegrity, MediaShakers, MediaWhiz’s Adnet o il Right Media di Yahoo.

La truffa si è sviluppata su due capisaldi: l’impossibilità da parte degli advertiser di controllare le proprie impression e la gran facilità di imbroglio legata a campagne basate sul semplice conteggio delle impression. L’anello debole di questa catena è nella fiducia tra editore e advertiser, fiducia della quale l’ad server dovrebbe potersi fare garante. La truffa è probabilmente circostanziata a pochi casi isolati, ma per il comparto si tratta di una mela marcia da estirpare con decisione e con provvedimenti utili ad evitare il ripetersi di una situazione similare. Edelman, nel proprio report, raccomanda semplicemente agli advertiser maggior attenzione (uso di ad server affidabili), maggiori precauzioni (uso di formule miste impression/click per bilanciare gli interessi derivati dell’investimento) e maggior coinvolgimento nel lavoro dell’editore nell’implementazione delle campagne promozionali.

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