#ècolpaditwitter: ironia sulle tesi anti social

Alcuni politici del PD si lasciano andare a un dibattito surreale sul ruolo di Twitter nella fibrillazione del partito. E l'ironia esplode, crudele.
Alcuni politici del PD si lasciano andare a un dibattito surreale sul ruolo di Twitter nella fibrillazione del partito. E l'ironia esplode, crudele.

Due anni fa era colpa di Pisapia. Oggi quell’ironia si rivolge contro le tesi che circolano in alcuni ambienti del Partito Democratico, comprensibilmente scioccato dalla sua situazione e dalla rabbia esplosa tra la gente, e che giustificano il doppio impallinamento nel voto dell’elezione del Capo dello Stato come un effetto della eccessiva attenzione ai social da parte dei deputati. L’hashtag non poteva che essere il trend topic della giornata: #ètuttacolpaditwitter.

Tutto è cominciato con i primi commenti da parte di alcuni giornalisti, ad esempio il post di Riccardo Liguori su Repubblica, “La prevalenza del cretino”, nel quale si addita il neoparlamentare nativo digitale:

Non risponde né alla Costituzione né al bene del Paese. E nemmeno al suo partito, come si è visto. Risponde però a Twitter, al mail bombing e agli sms. Intende la sua funzione come risposta pavloviana agli stimoli di chi lo ha eletto, o di chi sostiene di averlo eletto. È più vicino a uno smanettone che agli interessi della collettività.

Il concetto è certamente discutibile. Non c’è dubbio che mai prima si era assistito a questi fenomeni, un po’ autoalimentati, di aggressività nei confronti dei deputati, tra l’altro senza poter distinguere una “base” sociale con quella elettorale del deputato stesso. Questo concetto, in parte ironico, si è poi diffuso a gran velocità, dando la stura con molta meno ironia a politici della vecchia guardia per sostenere che il disastro è stato provocato da chi usa troppo Twitter e Facebook. Che i politici italiani abbiano spesso una visione limitata e strumentale dei social è cosa nota. Ma è una spiegazione plausibile?

L’ironia e la risposta di Arianna Ciccone

Certamente i frequentatori della Rete hanno impiegato pochissimo a prendere in giro queste tesi, inventandosi una quantità infinita di battute e citazioni sulle presunte colpe del microblogging: da chi non riesce a studiare, a chi punta in alto e gli imputa il buco dell’ozono, o magari c’entrano le leggi del caos o quelle persino più terrificanti del mainstream:

Una risposta secca e categorica, com’è nel suo stile, è arrivata da Arianna Ciccone, organizzatrice del Festival del Giornalismo di Perugia e forte influencer della Rete, che in collegamento con “Agorà” su RaiTre stamani ha fatto notare una prima contraddizione:

Dopo il voto fallito per Prodi tutto si può dire tranne che i parlamentari nativi digitali abbiano qualche colpa, visto che probabilmente sono responsabili le vecchie logiche. Proprio la citazione della campagna di Pisapia ricorda come un buon utilizzo della Rete fu alla base del successo del candidato sindaco di Milano, che era un candidato dello stesso partito che oggi lamenta l’invasività dei social network.

La tecnologia ha cambiato la democrazia rappresentativa

Tuttavia, se spostato nella prospettiva storica, il dibattito allora è molto interessante. Da sempre vanno attribuite alle discontinuità e accelerazioni tecnologiche un ruolo fondamentale nei cambiamenti sociopolitici. Qui si parla di una tecnologia che sta modificando la rappresentanza politica. Dopo Occupy Wall Street e la primavera araba non c’è bisogno di altre conferme: è sempre più crescente una opinione pubblica che si esprime e che organizza la sua espressione – e anche lo spostamento nelle piazze – attraverso la Rete.

Quindi parlare della crisi di un partito come fosse provocato dal web è senza fondamento. È invece molto interessante cominciare a parlare della crisi della rappresentanza per delega e dell’ingresso sulla scena di una supposta democrazia diretta, di un nuovo primato della società che così si organizza e rappresenta sul web, con tutto quello che significa anche nei suoi aspetti piu controversi, nelle forme attuali in cui si confonde la trasparenza con lo streaming, dove la banalizzazione è sempre dietro l’angolo e purtroppo anche forme di aggressione che vanno condannate. Una modificazione che condiziona, confonde e spaventa la politica.

La risposta, in fondo, non è che la solita: usare i mezzi invece di farsene usare, e mantenere l’impegno intellettuale di puntare sulla persuasione e sul coraggio delle proprie idee. Il dibattito in Rete tende a premiare uno scetticismo assoluto e chi lo alimenta, e valutazioni istantanee come un bit, ripetibili come un meme. Molti purtroppo dimenticano che chi non crede a niente finisce per credere a tutto. La strada giusta è quell’altra.

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