Internet: In Italia c'è bisogno di nuove leggi?

Politica, impresa, informazione, si confrontano sulla legislazione attorno alla Rete. Sul copyright si è deciso bene? L'hate speech merita nuove leggi?
Politica, impresa, informazione, si confrontano sulla legislazione attorno alla Rete. Sul copyright si è deciso bene? L'hate speech merita nuove leggi?

Le regole di oggi, quelle future, gli spazi e gli scenari di libertà di espressione in rete. Il convegno alla Sala del Mappamondo che stamani ha in qualche modo accompagnato le prime ore di vita del regolamento Agcom sul copyright è stato un evento perfettamente riuscito, ottimamente condotto da Anna Masera e da Fulvio Sarzana nelle due sezioni previste, sul ruolo della politica e della società civile e sulla regolamentazione amministrativa e parlamentare. Sullo sfondo, forse, un solo dubbio: anche se ci fosse bisogno di nuove leggi per Internet, devono essere italiane?

Il Convegno (video) intitolato “Internet e libertà d’espressione. C’è bisogno di nuove leggi?” tenutosi oggi a Montecitorio è stato particolarmente interessante e partecipato. Impossibile riassumere una maratona di 4 ore di interventi, tutti appassionati e brillanti, con protagonisti istituzionali ed esperti del settore. Il tema è stato sciorinato secondo due prospettive differenti, unite dalla presidente della Camera in un messaggio scritto rivolto ai partecipanti:

Voi vi domandate oggi se ci sia bisogno di nuove leggi. I diversi gruppi politici si pronunceranno al riguardo. Io so per certo che serve una nuova attenzione, adeguata all’importanza che la rete ha guadagnato nelle nostre vite. Internet è un’occasione senza precedenti di conoscenza, di informazione, di partecipazione alla sfera pubblica, quindi di esercizio di diritti civili. Tuttavia è anche il luogo in cui i diritti delle persone si scontrano spesso con grandi poteri politici e commerciali. Sono una convinta utente e sostenitrice dei social media, ai quali attribuisco un insostituibile valore comunicativo, e proprio per questo voglio che non si trasformino in territorio di rapina, dove le informazioni sulle persone diventano proprietà di chi è interessato esclusivamente ai profitti; o dove la dignità dei singoli viene calpestata da minacce e da atteggiamenti di abuso e discriminazione.

La prima sezione, moderata dalla responsabile della comunicazione della Camera dei deputati, Anna Masera, è stata introdotta dai saluti di Laura Boldrini e ha visto intervenire politici legati alle questioni della Rete dell’agenda digitale, come Paolo Gentiloni, Stefano Quintarelli, Antonio Palmieri. Tra questi deputati anche Alessandra Moretti, prima firmataria di un progetto di legge che ha illustrato durante il convegno e ha sollecitato subito una discussione. La seconda parte, decisamente più orientata al regolamento Agcom, ha visto intervenire tra gli altri il commissario Antonio Nicita, il professor Franco Pizzetti, Vincenzo Vita (già sottosegretario PD alle comunicazioni), Dino Bortolotto, presidente di Assoprovider, il vice presidente di Confindustria digitale Cristiano Radaelli, Marco Pierani, responsabile affari istituzionali per Altroconsumo.

La proposta Moretti e le perplessità degli altri

L’intervento più di rottura è certamente stato quello della deputata Alessandra Moretti, che ha difeso la sua intenzione di regolamentare l’hate speech, incardinandolo sul tema della difesa dei minori, il cyberbullismo. I difetti di questo tipo di proposte sono noti: concetti come «arginare l’odio in Rete», velocizzare la difesa dagli attacchi potenzialmente diffamatori, spostare l’onere di attivazione dell’iter di rimozione di contenuti diffamatori basandolo su procedure d’urgenza legando l’operazione a un Garante e non a un processo giudiziario, sono tutto quanto Webnews ha già più volte criticato, inserendolo tra gli elementi tipici dei nemici della Rete. Che in Italia, purtroppo, abbondano.

Con più diplomazia, gli stessi Quintarelli, il giornalista Arturo Di Corinto, Antonio Palmieri, hanno cercato di evidenziare alcune premesse che andrebbero sempre ricordate prima di legiferare in questo senso. Così riassumibili:

  • Esistono già molte leggi sulla diffamazione che vanno applicate ai nuovi ambienti.
  • C’è ormai una casistica piuttosto importante di inibizioni e di punizioni per comportamenti lesivi della dignità della persona tramite i social network, grazie all’ottimo lavoro di Polizia Postale e Guardia di finanza. I tempi tra segnalazione e punizione sembrano tutt’altro che lunghi.

  • La politica cita continuamente casi mediatici e quasi mai studi sul bullismo, gli adolescenti, l’hate speech, la relazione di questi fenomeni coi social network: studi che dimostrano incidenze diverse da quelle affermate dalla vulgata.
  • Molti degli strumenti che questo genere di leggi pretendono dai social – ad esempio nuovi tasti segnalazione su Twitter e Facebook – esistono già.

  • La questione dirimente è l’educazione digitale: ancora troppe persone, giovani o meno, si comportano nella Rete in modo diverso da come si comporterrebero in un luogo pubblico. Nonostante la Rete, a tutti gli effetti, lo sia.

Le bordate contro Agcom

La seconda parte del convegno si è concentrata sulla questione più delicata, almeno dal punto di vista del suo organizzatore, Fulvio Sarzana. I diversi interlocutori hanno cercato, con fatica, un punto focale nella prospettiva del regolamento in vigore da oggi, ma se sono tutti d’accordo che la legge italiana doveva conferire un certo potere a qualcuno sul diritto d’autore, ci sono ancora molti dubbi sul fatto che questo potere dovesse essere concesso all’authority, in quel modo, e con quelle tecniche.

Lasciare al diritto amministrativo materia che inevitabilmente tocca la proprietà intellettuale, il diritto di espressione, la libertà economica, tutti diritti nei confini costituzionali, è stato un passo azzardato che i provider, così come i consumatori, ostacoleranno senza tanti complimenti in tutti i modi legalmente possibili: Altroconsumo ha presentato insieme a Movimento Difesa del Cittadino, Assoprovider e Assintel un ricorso al TAR del Lazio per chiederne l’annullamento. Per Sarzana il convegno è stato un pieno successo, se non altro perché ha portato di nuovo questo tema in primo piano nell’agenda politica:

Mi sembra sia emerso in modo inequivocabile che l’Agcom non dovrebbe avere questi poteri e che sussistono necessità di aggiornamento sul diritto d’autore non solo sul copyright, ma anche ad esempio sull’equo compenso. Bisogna fare in modo di costruire un ruolo diverso della SIAE e liberalizzare i diritti e la loro gestione. Purtroppo stiamo assistendo a assunzioni di poteri e difese di titolarità non giustificate dalla legge o dai nuovi scenari tecnologici. Ecco perché sarebbe auspicato un intervento del Parlamento e mi ha fatto piacere che alcuni deputati presenti si siano presi questo impegno.

E se fosse tutto sbagliato?

Nel suo film sulla parabola politica di Berlinguer, Veltroni ricorda la frase scritta da un militante del PCI sul libro delle firme in commemorazione del segretario, durante i funerali: «E se ci fossimo tutti sbagliati?». La sensazione dopo aver assistito a questo lungo convegno è simile: ma davvero gli altri paesi si interrogano come l’Italia su questi temi? E se tutti si sbagliassero, pro e contro, perdendo di vista la globalità dell’argomento?
Mentre l’Europa si dà regole, comincia di discutere del Bill of Rights, genera commissioni e piattaforme sulla privacy, il copyright, il profit shifting, in Italia se ne discute come toccasse soltanto questo paese e la classe dirigente chiamata a trovare soluzioni. La Rete, però, non corrisponde, per sua natura, ai confini delle nazioni, non è neppure possibile (lo ha insegnato la webtax) considerare contenuti e profitti derivanti dal web con la stessa logica del diritto materiale di stampo ottocentesco.

Forse davvero è tutto sbagliato. Questa discussione andrebbe riportata, nelle sue linee guida, nel consesso europeo dove vengono prese le decisioni. Legiferare tanto, com’è tipico del sistema Italia, ha sempre prodotto più problemi che soluzioni, ma ora c’è il rischio che siano soltanto problemi perché alle soluzioni bisogna pensare altrove e insieme agli altri.

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