Sorveglianza alla francese, c'è il primo si

La Francia si appresta a ratificare una norma che impone un forte giro di vite sulla privacy dei cittadini su territorio francese.
La Francia si appresta a ratificare una norma che impone un forte giro di vite sulla privacy dei cittadini su territorio francese.

La Francia prosegue spedita il proprio percorso verso l’approvazione di una nuova normativa per il monitoraggio delle comunicazioni entro i confini transalpini: la scia dei fatti del Charlie Hebdo non si è dunque arrestata e, anche a distanza di mesi dalla violenza di quelle ore, i propositi del Governo non rallentano la propria corsa. Fin da subito la normativa aveva fatto pensare ad una sorta di forzatura della ragionevolezza in favore di una stretta subitanea al terrorismo; a distanza di tempo, quando era presumibile un allentamento del pugno di ferro, la normativa passa invece il primo ostacolo a larghissima maggioranza e procede spedita verso la ratifica in Senato.

A presentare la normativa è direttamente il Primo Ministro Manuel Valls, il quale prende le redini della questione senza delegarne il compito al Ministro dell’Interno. Valls si presenta all’Assemblea Nazionale ed enuncia le volontà del Governo di fermare il terrorismo con un maggior controllo sulle comunicazioni, senza lasciare spazio ad eventuali cellule impazzite presenti sul territorio. Ma è chiaro come la legge vada ben oltre il terrorismo: «anticipare, individuare e prevenire» significa monitorare e registrare, nonché archiviare, un alto numero di dati. Il tutto, peraltro, senza particolari contrappesi: sarà direttamente il Primo Ministro a poter richiedere specifiche attività di intelligence, senza passare attraverso qualsivoglia autorizzazione da parte della magistratura.

Gran parte del potere sarà nelle mani della Commission Nationale de Contrôle des Techniques de Renseignement (CNCTR), la quale potrà agire anche per moto proprio informando le autorità su quanto operato e portando avanti in caso di bisogno attività investigative basate su intercettazioni di varia natura. Anche i provider saranno costretti a collaborare, fornendo su richiesta le informazioni desiderate senza tuttavia dover divulgare tale attività. I provider, insomma, diventano spie ed esecutori per conto delle istituzioni, posizione che in Italia da tempo gli operatori si rifiutano di assumere sottolineando la gravità della cosa per la privacy del privato cittadino.

Ed è esattamente questa la prima preoccupazione che offre argomenti alla critica: chi tutelerà il cittadino dall’occhio indiscreto delle istituzioni? Come si può credere nella buona fede di una normativa che non appone contrappesi alla forte concentrazione di potere nelle operazioni di intelligence? Quale logica guida una normativa tanto restrittiva nel momento in cui il mondo esce da Wikileaks e dal Datagate?

L’indignazione collettiva dei giorni del Charlie Hebdo ha segnato un solco, all’interno del quale l’esecutivo ha ottenuto una approvazione a larghissima maggioranza. Ma il terreno era pronto da settimane: il Primo Ministro ha ricordato come nel frattempo siano già stati sventati almeno cinque attentati, tema forte a supporto della votazione delle ultime ore. L’opinione pubblica sembra insomma annichilita di fronte a tali argomenti: all’esecutivo è stato sufficiente promettere di non volere una sorveglianza massiva e capillare per ottenere il via libera all’approvazione di una normativa con una impronta tanto radicale.

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