Gli RFID per il Made in Italy: ok alla Camera

Passa alla Camera l'idea di utilizzare rfid e altri sistemi per un ecosistema anti contraffazione: nei prodotti i chip, negli smartphone i certificatori.
Passa alla Camera l'idea di utilizzare rfid e altri sistemi per un ecosistema anti contraffazione: nei prodotti i chip, negli smartphone i certificatori.

Sotto traccia, pian piano cresce anche l’Italia dell’innovazione. Ha commentato così Carlo Alberto Carnevale Maffè, professore della Bocconi, l’approvazione di un piccolo ma significativo testo di legge che introduce l’obbligo di tracciamento con Rfid (o altri codici non modificabili) per i prodotti del made in Italy, così da tutelarli meglio sui mercati e portare il massimo dell’informazione ai consumatori. Dietro la proposta di legge ci sono Stefano Quintarelli, Paolo Coppola e un gruppo di parlamentari che sono riusciti a superare l’avvallo di tutte le commissioni e a far presentare un testo unificato che si è guadagnato alla Camera 371 voti favorevoli e zero contrari.

Com’è possibile che una tecnologia vecchia di 15 anni possa ancora fare la differenza? Gli Rfid (i piccoli chip a radiofrequenza) sono alla base del funzionamento di una quantità incredibile di oggetti e servizi ai quali neppure pensiamo: i passaporti, i sistemi antitaccheggio, il telepass dell’autostrada, le chiavi dell’auto, la carte di credito, la raccolta dei rifiuti, il prestito dei libri, l’identificazione degli animali. Eppure ci sono studi che sul food e il fashion, i due campioni del made in Italy, hanno individuato un deficit di protezione e di trasparenza. Il motivo è che le grandi industrie possono anche investire in tecnologie di questo tipo, per beni di un certo costo, ma quando si tratta delle pmi italiane non si fa massa critica, manca uno standard nazionale e il risultato è che la contraffazione impera.

Da qui la proposta di legge (pdf) che ha avuto un percorso eccezionale sia nelle valutazioni delle commissioni che nell’iter a Montecitorio: presentata nel luglio del 2014, è arrivata nell’ottobre del 2015 in commissione, discussa e approvata il 21 gennaio 2016, discussa e votata in aula il 30 marzo in un testo unificato rispetto ad altre proposte simili, che è già stato trasmesso in Senato.

A cosa serve

L’idea di Quintarelli e dei altri firmatari della proposta di legge è che per fare anti contraffazione si deve passare da un riscontro online più facile, cioè rendere più trasparente l’offerta e consapevole la domanda anche per tutti quei prodotti di eccellenza che finora sono rimasti esclusi dagli investimenti tecnologici. Ora invece un testo breve di pochi articoli pone uno standard:

Viene istituito un sistema volontario di autenticazione e di tracciabilità dei prodotti che, attraverso l’apposizione di codici identificativi non replicabili, consenta al consumatore di conoscerne l’effettiva origine e di ricevere un’adeguata informazione sulla qualità e sulla provenienza dei componenti e delle materie prime nonché sul processo di lavorazione delle merci e dei prodotti intermedi e finiti.

I codici identificativi recanti segni unici e non riproducibili, ottimizzati per il sistema mobile e le sue future evoluzioni e per le applicazioni per smartphone e tablet e i loro futuri sviluppi tecnologici, da apporre sul singolo prodotto, contengono i dati identificativi, riscontrabili anche per via telematica, del produttore, dell’ente certificatore della filiera del prodotto e del distributore che fornisce il sistema dei codici stessi, nonché l’elencazione di ogni fase di lavorazione.

Con questa legge, si esprimono quattro principi fondamentali:

  • I prodotti si tracciano secondo alcuni obiettivi, non ha importanza la tecnologia (Rfid, qr-code, altri sistemi), ma che siano codici irreplicabili.
  • Le specifiche tecniche saranno stabilite con regolamento adottato tramite decreto del Ministro dello sviluppo economico sentiti l’Agenzia per l’Italia digitale, le associazioni di categoria delle imprese e dei consumatori e i produttori del sistema.
  • Lo Stato stanzia un finanziamento (di venti milioni di euro) per le piccole e micro imprese, le startup, i consorzi, i distretti produttivi, per adeguarsi a questa tecnologia.
  • Chi appone codici falsi è punito secondo il codice penale.

L’obiettivo

La certificazione digitale del prodotto è già possibile e spesso utilizzata, dalle grandi aziende, nella logistica e naturalmente è fondamentale nei prodotti alimentari e di brand riconosciuti. Peccato però che non c’è obbligo per quanto riguarda la tracciabilità dell’intera filiera, cioè i tag di riconoscimento sono perlopiù usati per scopi interni invece che per certificare i prodotti effettivamente realizzati in Italia o comunque con certe qualità. Può sembrare assurdo, visto che si tratta di inserire informazioni di pochi bit in chip o bande magnetiche o altri sistemi che sono nati per quello, ma si è pagata l’assenza di una spinta politica, nazionale, verso uno standard.

Dovesse passare la legge, i proponenti sono convinti che verrebbero a mancare queste barriere d’ingresso e molti più produttori userebbero Rfid o altro per certificare i prodotti, e in parallelo molti più consumatori userebbero i loro smartphone per leggerne i codici. I  dispositivi di classe medio-alta ormai sono in grado di leggere anche lo standard Nfc, che è in pratica un Rfid su uno spettro radio con maggiore scambio di dati. Uno scenario che il professor Maffè definisce «certificazione distribuita». Raggiunto al telefono, spiega a Webnews l’idea alla base della legge.

L’adozione spontanea di queste tecnologie era davvero così costosa?

Gli studi che facciamo in Bocconi lo hanno dimostrato: senza uno standard di riferimento non si combatte la contraffazione. Per fortuna oggi è possibile abbassare questo costo non obbligando, come nello stato di polizia, ma garantendo una massa critica, un ecosistema anticontraffazione.

L’Rfid è la tecnologia giusta?

Attenzione, può essere quella giusta in certi casi, ma è adatta a prodotti di un certo costo, difficile vederla su un oggetto da cinque euro. La legge è tecnologicamente neutra, come deve essere.

Come le è venuta l’idea?

È una proposta che nasce da 15 anni di riflessione accademica e si innesca in una più grande strategia sulla trasparenza dell’offerta. Questa non è una legge sugli aggeggi elettronici, non solo: è una legge che spera di incentivare le imprese sulla trasparenza contando sulla tecnologia nelle tasche delle persone, in Italia e nel mondo. Una buona ragione per informarli di più e vincere sul mercato rispetto a quelli che danno informazioni parziali o false.

Ti consigliamo anche

Link copiato negli appunti