Indonesia: FB, Google, Twitter, Yahoo e il fisco

Il Ministro delle Finanze locale, Bambang Brodjonegoro, punta il dito contro social network e motori di ricerca per la questione delle imposte versate.
Il Ministro delle Finanze locale, Bambang Brodjonegoro, punta il dito contro social network e motori di ricerca per la questione delle imposte versate.

Anche l’Indonesia entra ufficialmente a far parte della schiera di paesi che manifestano dissenso per le modalità con le quali i grandi gruppi appartenenti agli ambiti Web e high-tech versano le imposte nei territori in cui generano profitti. Il dito è puntato questa volta nei confronti di ben quattro big del mondo online: Facebook, Google, Twitter e Yahoo.

È quanto emerge da un articolo comparso sulle pagine del Wall Street Journal. A parlarne è direttamente il Ministro delle Finanze locale, Bambang Brodjonegoro, che pur non facendo un esplicito riferimento ad una specifica infrazione delle normative vigenti spiega come sia necessario fare chiarezza sulla questione. Si cita direttamente l’ammontare degli introiti generati, con un focus particolare su quelli legati al mercato pubblicitario. Così come altrove, dunque, anche in Indonesia si avverte l’esigenza di accertare le dinamiche che regolano il calcolo delle tasse applicabili a social network e motori di ricerca.

Si tratta di compagnie che hanno generato molti profitti qui, specialmente dall’advertising, e non siamo certi che abbiano pagato le tasse correttamente in accordo con l’ammontare degli introiti provenienti dall’Indonesia.

Google, dal canto suo, replica con un breve comunicato che ribadisce quanto già detto più volte in passato, chiarendo il proprio intento di continuare ad agire in pieno rispetto delle normative vigenti nei paesi in cui opera.

Continuiamo a pagare tutte le tasse locali applicabili.

Nei mesi scorsi si è parlato dell’accordo da 130 milioni di sterline siglato tra il gruppo di Mountain View e il fisco britannico, che ha posto fine ad una vicenda protrattasi per un intero decennio. Il tema resta caldo anche in Italia, dove si è ipotizzata la notifica di una sanzione per un totale pari a 300 milioni di euro.

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