Il voto elettronico a Roma

L'amministrazione Raggi intende adottare una serie di strumenti per gestire petizioni popolari, referendum comunali e bilancio partecipato, tutto online.
L'amministrazione Raggi intende adottare una serie di strumenti per gestire petizioni popolari, referendum comunali e bilancio partecipato, tutto online.

Il Comune di Roma intende adottare una piattaforma apposita per sperimentare il voto esclusivamente elettronico per prendere alcune decisioni locali. Lo hanno spiegato oggi in conferenza stampa l’assessora a Roma Semplice, Flavia Marzano, e i due cinquestelle Angelo Sturni, presidente della commissione Roma Capitale, e il deputato Riccardo Fraccaro. La loro idea, scritta in una delibera, è quella di importare nel comune alcuni strumenti partecipativi, ma non sarà “Rousseau”, la piattaforma ideata dalla Casaleggio che ha dato anche il nome alla sua fondazione.

Per valutare un sistema di voto elettronico bisogna partire da un concetto: ogni sistema informatico è per sua natura vulnerabile. Ecco perché quando si parla di questi strumenti si deve stare molto in guardia. L’unico modo per gestirli al meglio, secondo gli esperti, è lavorare sulla raccolta e trattamento dati in modo che nessun passaggio sia opaco o meno che perfettamente trasparente; controllare con un ente terzo la qualità del software per evitare che lo sviluppatore si giudichi benevolmente da solo; testare il sistema su votazioni piccole, all’inizio; privilegiare i sistemi ibridi cartaceo-elettronico o comunque prevedere un backup di sicurezza, così da rispondere a eventuali contestazioni confrontando due tipi di voto che a quel punto dovranno essere identici.

Detto questo, è sicuramente molto interessante che in una città popolata e complessa come la capitale si pensi a petizioni online, referendum senza quorum, proposte di delibera e bilancio partecipativo integrando nello statuto del comune dei sistemi elettronici. I proponenti hanno evidenziato che negli ultimi dieci anni sono state depositate presso l’amministrazione capitolina meno di 30 proposte di iniziativa popolare, 15 quesiti referendari e solo 36 interrogazioni e 2 interpellanze al sindaco. Inoltre, il Regolamento per gli istituti di partecipazione e di iniziativa popolare è del 1994 e finora non è mai stato migliorato né adattato alle nuove tecnologie.

Così ha commentato Angelo Sturno:

Con questa proposta vogliamo rivoluzionare le modalità di partecipazione all’azione amministrativa. Aprendo le porte ai cittadini, attraverso nuovi strumenti di democrazia diretta. Presenteremo la delibera nei Municipi con incontri sul territorio per spiegare ai cittadini i nuovi diritti di cui potranno beneficiare. Il nostro auspicio è che l’iter amministrativo si concluda entro fine anno.

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Flavia Marzano, invece, in questi mesi ha portato a compimento alcuni passi digitali nel comune, creando dei punti di informazione online nelle biblioteche, facendo adottare lo SPID per oltre 60 servizi online ai cittadini, presentando anche una propria agenda digitale che comprende scuola, accessibilità, smart mobility, turismo online, commercio e attività produttive, servizi sociosanitari. A proposito di questa iniziativa che prende le mosse dal Movimento Cinquestelle, dunque dalla parte politica, e arriva all’amministrazione capitolina, l’assessora ha spiegato che si tratta di una implementazione che passerà dalla ristrutturazione del portale comunale nel quale si aprirà una sezione sulla Partecipazione:

L’intento è quello di coinvolgere i cittadini sempre più nella vita pubblica di Roma. Sono strumenti noti, come il referendum o le petizioni popolari, che esistono da sempre, ma non sono mai stati applicati.

Democrazia diretta o partecipata?

Il comprensibile entusiasmo dei rappresentati cinquestelle li ha portati a definizioni un po’ altisonanti: gli strumenti di partecipazione non sono definibili, di per sé, come democrazia diretta, qualunque cosa significhi questa espressione che ha vari tentativi di applicazione in tutto il mondo (con risultati piuttosto scarni). Si tratta, in buona sostanza, dell’applicazione di processi di partecipazione che finiscono, nei migliori casi, nella co-creazione. I processi partecipati sono proporzionali in qualità rispetto ai software utilizzati: in generale, vale il principio della trasparenza nel trattamento dei dati (è possibile votare più volte? il sistema è protetto da cyberattacchi? il database dei votanti è gestito secondo le norme italiane ed europee? c’è una compliance sulla direttiva europea da applicare nel 2018?) e nel tipo di engagement. Ad esempio, ci sono pochi comuni che mettono completamente online il proprio bilancio. E si contano sulle dita di una mano quelli che usano piattaforme open source, come Liquid Feedback, che consente un processo decisionale in tutte le fasi, dall’elaborazione delle idee al voto, passando per la progettazione e l’esecuzione.

Da questo punto di vista, le intenzioni di Roma sembrano serie, perché si parla apertamente di “costruzione” delle decisioni, in particolare nelle presentazione di delibere, votate dalla community e obbligatoriamente presentate in sala consiliare.

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