OMS: la dipendenza da videogiochi è una patologia

Secondo quanto stabilito dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, la dipendenza da videogiochi è in tutto e per tutto classificabile come una patologia.
Secondo quanto stabilito dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, la dipendenza da videogiochi è in tutto e per tutto classificabile come una patologia.

L’elenco International Compendium of Diseases compilato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (World Health Organization) è stato aggiornato per la prima volta dopo alcuni anni e tra le modifiche apportate due in particolare catturano l’attenzione: vengono definite delle vere e proprie patologie anche l’hazardous gaming e il gaming disorder.

Se la prima è riconducibile a quanto fino ad oggi associato al termine ludopatia con riferimento al gioco d’azzardo, la seconda classifica i videogiochi allo stesso livello delle sostanze che creano dipendenza. Il gaming disorder è stato inserito dalla WHO tra gli addictive behaviors. Cosa potrebbe cambiare per i giocatori e per il mercato? Con tutta probabilità nulla, possiamo eventualmente immaginare l’adozione di misure informative come l’applicazione di un avviso in stile “gioca responsabilmente”. Di seguito un estratto, in forma tradotta, della descrizione fornita all’interno della documentazione.

Il disturbo da gaming è caratterizzato da una serie di comportamenti di gioco persistenti o ricorrenti (“digital gaming” o “video gaming”) che possono essere online (ad esempio via Internet) oppure offline, manifestati attraverso: controllo alterato sul gioco (inizio, frequenza, intensità, durata, termine, contesto), priorità crescente attribuita al gioco che si estende fino ad avere precedenza su altri interessi della vita e attività quotidiane, continuazione o incremento delle sessioni di gaming nonostante il verificarsi di conseguenze negative.

Così, dopo essere stati messi alla gogna innumerevoli volte con l’accusa di istigare alla violenza e a comportamenti aggressivi, i videogiochi sono ora equiparati alle sostanze che creano assuefazione, rendendo dipendenti i loro utilizzatori. Perché allora non riservare lo stesso trattamento anche ai contenuti in streaming come le serie TV? Dopotutto, chi non prova l’irresistibile tentazione di non interrompere una sessione di binge watching concedendosi la visione di un episodio dopo l’altro? Si faccia lo stesso con i libri, poiché spesso accade di iniziare la lettura di un romanzo e di non trovar pace finché non ne sono state divorate le pagine, occupando tutto il tempo libero a propria disposizione.

Mettere sullo stesso piano gioco d’azzardo e videogame significa considerare il problema da una prospettiva falsata. Se è vero che un titolo videoludico può tener incollato al joypad per un tempo eccessivo, fino a prova contraria non provoca alcun danno economico diretto, anche se nell’era delle microtransizioni e degli acquisti in-game le cose potrebbero cambiare. Indubbiamente, così come tutto ciò che risulta piacevole, anche il gaming può creare una sorta di dipendenza, sottraendo tempo e risorse ad altro, ma il buon senso costituisce un rimedio efficace a comportamenti dannosi e sufficiente per scongiurare il verificarsi di conseguenze spiacevoli o negative. Non siamo certi che appiccicare un’etichetta tanto gravosa ai prodotti dell’intera industria dell’intrattenimento videoludico sia il modo migliore per affrontare la questione.

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