Google, Project Maven trainato da microworker

Google si affida al microlavoro per portare avanti Project Maven, programma nato dalla collaborazione con il Pentagono.
Google si affida al microlavoro per portare avanti Project Maven, programma nato dalla collaborazione con il Pentagono.

Google pare abbia assunto dei microworker affinché contribuissero alla realizzazione di un controverso programma di intelligenza artificiale, che la società starebbe portando avanti con il Pentagono.

I lavoratori sono stati assunti tramite una piattaforma di crowdsourcing chiamata “Figure Eight”, che paga circa un dollaro l’ora le persone che svolgono brevi compiti. Sia che il personale assunto stesse identificando oggetti in immagini simili a CAPTCHA, sia che svolgesse altre semplici attività, sembrerebbe stia aiutando l’azienda a dare forma all’intelligenza artificiale creata come parte di un’iniziativa del Dipartimento della Difesa e nota come Project Maven.

Il progetto è destinato a utilizzare l’apprendimento automatico e l’intelligenza artificiale per distinguere persone e oggetti in migliaia di ore di riprese di droni. Grazie a questi “lavoratori temporanei”, Google è stata in grado insegnare agli algoritmi come riconoscere gli obiettivi umani e gli oggetti circostanti, non è chiaro se solo per compiti di sorveglianza o anche per dotare i droni stessi di avanzate capacità di attacco autonomo tramite il riconoscimento di obiettivi sensibili.

Pare tuttavia che queste persone non avessero idea del progetto per cui stavano lavorando o quello che stavano costruendo. Lo scorso giugno, Google ha dichiarato di aver deciso di non rinnovare il suo contratto con il Dipartimento della Difesa per Project Maven, dopo che oltre 3.000 dipendenti hanno firmato una petizione per protestare contro il coinvolgimento della società nell’iniziativa. L’accordo si concluderà a marzo 2019.

BigG vuole intanto porre limiti al cyberbullismo e sta prendendo in considerazione l’idea di rimuovere il tasto “non mi piace” da YouTube: l’intento è quello di impedire che diventi uno strumento ricattatorio per danneggiare il lavoro dei creatori di contenuti.

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