Apple non conosce il reale sfruttamento in Cina?

Secondo l'associazione SACOM, persisterebbero delle condizioni di sfruttamento fra i partner produttivi della Mela: Apple ne sarebbe totalmente ignara.
Secondo l'associazione SACOM, persisterebbero delle condizioni di sfruttamento fra i partner produttivi della Mela: Apple ne sarebbe totalmente ignara.

Apple è di nuovo sotto i riflettori per le condizioni di lavoro in Cina, nelle fabbriche dei suoi partner produttivi. Questa volta non sono gli osservatori internazionali a denunciare delle condizioni di vero e proprio sfruttamento, bensì gli attivisti locali di SACOM, associazione per la tutela del lavoro. Secondo il gruppo, la Mela ignorerebbe la reale portata del maltrattamento degli operai fra i suoi partner.

Lo scandalo è scoppiato ormai da tempo, quando Cupertino è stata accusata di approfittare della manodopera cinese a basso costo – anche minorile – per produrre i suoi iDevice. L’azienda ha quindi deciso di rispondere all’accusa scendendo in campo e inviando The Fair Labour Association in Asia, affinché certe condizioni venissero del tutto eradicate. E così in parte è stato: FLA comunica una riduzione degli orari dei turni, un piccolo aumento dello stipendio e una maggiore considerazione degli operai, sebbene molto debba essere ancora fatto.

L’indagine di FLA si è però limitata a Foxconn, mentre SACOM denuncia violazioni anche in Pegatron, Wintek e Foxlink. Secondo quanto denunciato dall’associazione, si verificherebbero situazioni di vero schiavismo, soprattutto fra i più giovani. Le aziende sfrutterebbero l’istituto dello stage e dell’apprendistato per far lavorare studenti praticamente a costo zero, i turni sarebbero del tutto inumani e pare che in alcuni casi si sia arrivati anche alla violenza fisica, a vere e proprie torture. SACOM ha quindi deciso di pubblicare una lista delle 7 violazioni più ricorrenti, in contrasto al report sulla responsabilità delle aziende partner diramata da Cupertino:

  1. L’80% degli operai sarebbe precario e vulnerabile alla negazione dei diritti previsti per legge;
  2. Vi sarebbe un largo impiego di studenti, obbligati a finire in azienda per singolari partnership tra gli istituti d’istruzione e le stesse fabbriche;
  3. I lavoratori rimangono sulle linee fino a 14 ore al giorno, con solo un giorno di riposo al mese. In totale, l’operaio lavora 70-90 ore la settimana, contro un massimo di 49 previsto dalla legge;
  4. Vi sarebbero diversi casi di manodopera non retribuita, oltre a straordinari gratuiti, tempi di pausa dimezzati e pranzi al volo pur di non interrompere la macchina produttiva;
  5. Il turnover sarebbe estremamente rapido, tanto che si vocifera in queste aziende vengano assunti, e licenziati, circa 1.000 lavoratori al giorno. Chi riesce a ottenere un contratto a tempo indeterminato, però, non gode di tutti i benefit che questa modalità lavorativa dovrebbe garantire.
  6. I partner Apple utilizzerebbero sostanze tossiche per l’uomo, a cui gli operai sono sottoposti senza le dovute precauzioni. L’inalazione pare porti a problemi respiratori e a patologie croniche delle vie aeree. Nemmeno la sicurezza è garantita, lo dimostrano le recenti esplosioni a Shanghai negli impianti Pegatron;
  7. In tutte le aziende si manifesterebbe una gestione di stampo militar-dittatoriale, con abusi verbali, fisici, derisioni pubbliche e molto altro ancora affinché il lavoratore non si lamenti delle proprie condizioni.

Nessun commento è al momento provenuto da quel di Cupertino, ma di certo non tarderà ad arrivare. Apple è molto attenta a non rinvigorire la polemica mediatica, così come accaduto lo scorso anno, e probabilmente interverrà in prima persona per interrompere certe pratiche fra i fornitori. Si ricorda, infine, come le aziende sopracitate non lavorino esclusivamente per Apple, ma per gran parte dei produttori di dispositivi elettronici – dagli smartphone alle TV – del mondo.

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