Click & love

In occasione della Giornata Internazionale della Pace occorre riflettere sulla microresponsabilità che c'è dietro a ogni post, ogni click, ogni tweet.
In occasione della Giornata Internazionale della Pace occorre riflettere sulla microresponsabilità che c'è dietro a ogni post, ogni click, ogni tweet.

Vogliamo la pace nel mondo? Si!

Ma qual è il mondo nel quale vogliamo la pace? Perché questa è la domanda fondamentale. E il rischio è che nella cosiddetta era della globalizzazione il mondo sia sempre più piccolo. E non tanto perché è sempre più connesso, ma perché è sempre più autoreferenziale, circoscritto a bolle di connettività e cerchie di autoreferenzialità. La Giornata internazionale della Pace dovrebbe suggerire anche questa riflessione, “like” dopo “like”, “love” dopo “love”, tweet dopo tweet.

L’iniziativa Facebook di oggi è di per sé simpatica:

La pace inizia con l’amore. Se fossimo uniti e ognuno di noi portasse amore e positività, potremmo contribuire alla diffusione della pace nel mondo.

In occasione della Giornata Internazionale della Pace, Facebook presenta alcune caratteristiche speciali volte a promuovere l’amore e la pace. Oggi, 21 settembre, se si utilizza la reazione “Love”, il cuore prenderà vita e vedrete un messaggio che vi ringrazierà per aver donato amore. Nella parte superiore del News Feed sarà inoltre visibile un saluto che incoraggia a dare amore utilizzando la reazione “Love”. Tutto questo è disponibile oggi, 21 settembre, per tutte le persone su Facebook a livello mondiale.

E il fatto che tutto si riduca a semplice simbolismo senza applicazioni reali, poco importa: queste iniziative non possono far altro che sensibilizzare e far riflettere, poiché la responsabilità di trasporre il tutto nella vita quotidiana è da ricondurre alle persone e alla loro coscienza. Tuttavia c’è un risvolto amaro dietro tutto ciò, ed è la stessa iniziativa Facebook a suggerirla: qualsiasi “love” inviato sarà visto soltanto dai propri amici. Ogni parola e ogni simbolo si ferma nella nostra cerchia o almeno non abbiamo reale visione di come possa trasmettersi a livello cerebrale. Si trasmette online tramite condivisioni, forse, ma questo passaggio è deresponsabilizzato e automatico, afferente ad una dinamica virale e non più ricondotto alla persona da cui prende moto.

Nei giorni in cui il Web viene incolpato di tutto, come agisse con una propria coscienza e proprie finalità, come esistesse in qualità di soggetto autonomo ed organico, riflettere circa il proprio ruolo sulla Rete potrebbe forse alzare il tasso di consapevolezza generale: capire chi siamo, come e perché.

Mai come in quest’epoca, la storia siamo noi. Lo siamo, visibilmente, in qualità di hub che creano contenuto e ripropongono quello altrui, fungendo da snodo di una rete di idee che fluisce di comunità in comunità, di popolo in popolo, di continente in continente. Siamo hub con un ruolo attivo e, sebbene non se ne abbia complessiva visibilità, ogni nostra azione contribuisce a quell’agire collettivo di cui spesso il Web è additato e incolpato. Tuttavia una visione meccanicistica del nostro essere hub rischia di relegarci a mero elemento strumentale, autorizzando qualsivoglia comportamento e privando tale dinamica di fondamentali meccanismi di autocontrollo.

Nella Giornata internazionale della Pace, è interessante ragionare su quella microresponsabilità che ognuno di noi deve sentire propria in ogni azione immateriale. Ogni volta che condividiamo una bufala sugli immigrati, ogni volta che diamo voce a strisciante razzismo, ogni volta che affrontiamo superficialmente temi politici, ogni volta che spariamo sentenze disinformate: ogni volta che facciamo ognuna di queste cose, allontaniamo quel concetto ideale di “pace” che a parole andiamo invece perseguendo.

Vogliamo la pace nel mondo? Si! Bene, allora costruiamola click dopo click, scavandola nella nostra intimità prima ancora che nei giudizi verso gli altri, autoresponsabilizzandoci invece che additando il Web, agendo come cittadini consapevoli invece che come spettatori disinteressati.

E se serve mandiamo anche dei “love”. Purché se ne conosca davvero la dinamica e il significato, affinché vengano dal cuore invece che solo dalla punta del dito indice.

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