Così la RIAA voleva truffare i pirati

Rubati e messi a disposizione di tutti 700 Mb di mail private dei dipendenti di Media Defender, la società che con modus operandi al limite della legalità e dell'etica costituiva il braccio operativo della RIAA per confondere e screditare i circuiti P2P
Rubati e messi a disposizione di tutti 700 Mb di mail private dei dipendenti di Media Defender, la società che con modus operandi al limite della legalità e dell'etica costituiva il braccio operativo della RIAA per confondere e screditare i circuiti P2P

Se non fosse che Media Defender è una società tra le meno stimate e rispettate della rete, che svolge un lavoro al limite della correttezza per conto delle major musicali (solitamente individuate in internet come “il nemico”), allora si sarebbe potuto anche parlare di scandalo. Ma Media Defender è la società alla quale le major discografiche delegano la parte operativa della repressione del file sharing. E l’azienda svolge il lavoro sporco in maniera più o meno legale inondano la rete con attacchi Denial Of Service e i circuiti P2P con file fasulli dei brani più scaricati.

Ora i 700 MB di email di proprietà di Media Defender, trafugate da pirati informatici che si sono definiti “Media Defender defenders”, mettono in piazza tutte le relazioni che intrattenevano con le major, con lo scopo di «mettere al sicuro la privacy di tutti gli utenti di peer to peer» affermano gli hacker responsabili e aggiungono «speriamo sia sufficiente per organizzare una difesa contro le tattiche usate da queste aziende». Il furto di mail è stato reso possibile da un azzardato trasferimento effettuato su server GMail che poi è stato bucato. Da quel momento tutto è stato inserito in un pacchetto scaricabile da chiunque via torrent.

Ma il contenuto è talmente vasto che forse ci vorrà parecchio tempo prima che tutto il succo venga a galla. Ad ogni modo al momento sono emerse le prime informative di rilievo relativamente ai retroscena della storia di Miivi, il sito truffa messo in piedi da Media Defender fingendo che si trattasse dell’ultimo client P2P e utilizzato per cogliere i pirati con le mani nel sacco.

Le informazioni ora disponibili fugano ogni dubbio sul legame tra Media Defender e MiiVi e inoltre aggiungono altre informazioni sugli ulteriori piani della società. Media Defender infatti aveva fatto di tutto per nascondere i propri legami con il sito civetta: «non voglio in alcun modo che risulti MediaDefender nelle vostre mail di risposta a chi contatta MiiVi» si legge in una corrispondenza. In un’altra invece si discute delle modalità per attirare pubblico: «potremmo usare messaggi eDonkey per attirare più utenti, specialmente gli europei che sono un pubblico un po’ più anziano. Dovremmo anche essere indicizzati da Google Immagini, ci serve tutto il traffico possibile».

Nelle mail si legge anche il panico quando la storia è emersa assieme ai primi dubbi sollevati sulla possibile affiiliazione MiiVi/Media Defender. Dal carteggio virtuale si capisce come abbiano immediatamente messo tutto offline, spaventati dalla possibile reazione e poi abbiano atteso un po’ di tempo per tornare online sotto una diversa veste: «dobbiamo solo aspettare 2-3 settimane, fare un po’ di lavoro di cosmetica e poi rilanciare tutto. Prendiamo un nuovo dominio, un altro certificato VeriSign, nuovi range IP». Così fu: MiiVi tornò con il nome di Viide.

Oltre alle informazioni su MiiVi al momento è noto che nelle email trafugate ci sono anche accenni alle discussioni fatte con i rappresentati dell’ufficio New York Attorney General per garantire loro accesso libero ai loro database riguardanti gli utenti P2P. Infine altre mail gettano una luce sul giro di soldi generato da Media Defender. Il contratto con la Universal infatti prevedeva per esempio 4.000 dollari al mese per la protezione di un solo album e 2.000 dollari per la protezione di una singola traccia.

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