Flexi Disc, i dischi flessibili

Formato in disuso già a partire dagli anni ’80, il Flexi Disc conobbe tuttavia un discreto successo nei due decenni a cavallo fra gli anni ’60 e ’70.

Conosciuto anche con i nomi di “Soundsheets” e “Phonosheet“, si trattava di un sottilissimo e decisamente malleabile foglio di vinile, normalmente inciso su di un solo lato e perfettamente funzionante su un classico giradischi.

Sebbene la qualità sonora fosse tutt’altro che soddisfacente e la loro stessa fragilità li rendesse ancor più esposti all’usura tipica degli ordinari dischi in vinile, i Flexi Disc trovarono un’ampia applicazione nei battage promozionali o come gadget inclusi nelle riviste.

Varie furono le fanzines dell’epoca, infatti, a richiamare l’attenzione del pubblico allegando gratis un Flexi Disc, magari contente brani inediti o estratti di nuovi singoli degli artisti di maggior successo.

Un altro impiego interessante di tale formato fu quello delle cartoline sonore, le cosiddette “Postcard records“, che permettevano di combinare, su di un solo supporto, la visione di immagini e figure all’ascolto di musiche o suoni.

Come già accennato, la durata di un Flexi Disc era piuttosto effimera: spesso bastavano pochi ascolti a rovinarne irrimediabilmente i solchi, sotto il peso delle puntine dei giradischi a 75 giri.

Nonostante il costo esiguo nella produzione di Flexi Disc, questi ultimi sono diventati oggetto di riguardo per i collezionisti d’epoca, disposti a pagare cifre decisamente notevoli per uno di questi esemplari quasi “usa-e-getta” e il cui audio è spesso inciso in un grossolano Mono.

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