Google scricchiola in Cina

Prima il blocco parziale dei servizi mobile, poi disservizi a macchia di leopardo sul motore di ricerca. Così Google ha iniziato a scricchiolare sul territorio cinese, a distanza di pochi giorni dal redirect strategico sui server di Hong Kong
Prima il blocco parziale dei servizi mobile, poi disservizi a macchia di leopardo sul motore di ricerca. Così Google ha iniziato a scricchiolare sul territorio cinese, a distanza di pochi giorni dal redirect strategico sui server di Hong Kong

A distanza di giorni dall’addio a Google.cn per l’approdo sui server di Hong Kong, Google non ha ancora ricevuto alcuna reazione ufficiale da parte delle autorità cinesi. Indispettite dal “tranello” del redirect, le istituzioni hanno lanciato frecciate verso Mountain View ma il tutto si è fermato al moderato scontro verbale e non sono state invece intraprese iniziative vere e proprie in risposta alla simil-fuga del motore di ricerca.

Ciò nonostante a distanza di giorni qualcosa sembra stia iniziando a muoversi. Sebbene Google non segnali problemi particolari tramite la propria dashboard di monitoraggio sui server, in realtà qualche problema inizierebbe a manifestarsi. Nella giornata di domenica, infatti, i servizi mobile erano parzialmente irraggiungibili così come successo poche ore più tardi sul motore di ricerca: le ricerche su Google (effettuate ad ogni effetto sui server di Hong Kong) in alcuni casi hanno restituito paginate di errore, ma il tutto si è ridotto ad essere un fenomeno a macchia di leopardo e difficilmente tracciabile.

Sebbene sia impossibile al momento risalire ad una causa univoca per i disservizi di queste ore, i problemi potrebbero essere identificati in due concause: da una parte v’è il trasferimento delle ricerche sui server di Hong Kong, qualcosa che la stessa Google ha anticipato come un passaggio problematico e vittima quindi di possibili temporanee interruzioni; dall’altra v’è l’ipotizzabile reazione dei tecnici che reggono le sorti del firewall di stato, le cui maglie potrebbero presto stringersi per limitare alcune pagine ed alcuni servizi contrari ai regolamenti cinesi da cui l’azienda è voluta fuggire rifugiandosi altrove.

Nella pratica una prima ipotesi concreta è legata ad una semplice stringa all’interno delle query. La sigla “RFA”, infatti, sarebbe stata sufficiente per ingannare il firewall statale ove sono attivi filtri pronti a fermare tutto quanto concernente la Radio Free Asia (broadcast poco gradito alle istituzioni). Anche se in realtà la sigla non aveva alcun nesso con la radio indicata, il firewall avrebbe bloccato le query evidenziando meccanismi automatici e grossolani che agiscono massivamente sulla navigazione. Semplicemente, insomma, un evidente falso positivo.

Tra le parti permane comunque un forte gelo ed al momento le trattative appaiono ormai definitivamente interrotte. Gli scricchiolii delle ultime ore sembrano preludere ad un equilibrio precario destinato inevitabilmente, prima o poi, a spezzarsi.

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