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Un episodio destinato a fare scuola in materia di privacy digitale e diritti dei cittadini si sta consumando a Gallipoli, dove un uomo di 56 anni ha citato in giudizio il colosso Google chiedendo un risarcimento di 80.000 euro. Il motivo? Il servizio Street View avrebbe immortalato il cittadino mentre faceva la doccia nel proprio giardino, pubblicando la foto online senza un’adeguata oscurazione del volto. Il caso, attualmente al vaglio del Tribunale di Lecce, riporta sotto i riflettori la complessa questione della tutela della proprietà privata nell’era delle grandi piattaforme tecnologiche e dei servizi di mappatura digitale.
Secondo la ricostruzione dei fatti, l’immagine contestata ritrarrebbe l’uomo a torso nudo, visibile e facilmente identificabile, nei pressi della recinzione della sua abitazione. Il cittadino, assistito dall’avvocato Vincenzo De Vittorio, ha denunciato che la pubblicazione non autorizzata della sua immagine avrebbe generato un forte imbarazzo, esponendolo a derisione da parte di conoscenti e vicini, e causandogli danni morali significativi. La richiesta di risarcimento è stata quindi formalizzata in sede giudiziaria, ponendo il caso come potenziale precedente per tutte le controversie future legate alla privacy nelle immagini raccolte da servizi automatici.
Un elemento centrale della disputa riguarda la reale natura della strada da cui sarebbe stata scattata la foto online. La difesa del cittadino ha infatti prodotto una perizia tecnica che sostiene come il tratto in questione sia una via privata, dunque sottratta alla libera documentazione da parte di piattaforme come Street View. Se il giudice dovesse riconoscere la fondatezza di questa ricostruzione, la sentenza potrebbe aprire scenari inediti sul fronte della tutela della proprietà privata e delle responsabilità delle multinazionali digitali.
Dal canto suo, Google ha risposto con fermezza alle accuse. Attraverso i propri legali, la società ha precisato che le immagini segnalate non sono più disponibili sulla piattaforma e che l’uomo sarebbe stato fotografato “sulla pubblica via” mentre indossava un normale costume da bagno. Secondo la versione fornita da Google, il volto non sarebbe stato riconoscibile nemmeno ingrandendo l’immagine, ridimensionando così il presunto danno subito. Inoltre, i legali dell’azienda hanno sottolineato che, in una località turistica come Gallipoli, è poco plausibile che un individuo possa essere oggetto di scherno semplicemente per essere stato visto in costume da bagno.
Non meno acceso il confronto tra le parti in aula: la difesa del cittadino ha lamentato l’utilizzo di espressioni offensive negli atti depositati da Google, mentre i rappresentanti della multinazionale hanno chiesto la condanna per lite temeraria, evidenziando la volontà di difendere la reputazione del servizio Street View da contestazioni che ritengono infondate.
La vicenda si arricchisce inoltre di una dimensione normativa: sebbene non sia ancora intervenuto il Garante della privacy, il caso solleva interrogativi cruciali sul ruolo delle autorità garanti nel bilanciare la riconoscibilità dei soggetti nelle immagini pubblicate e il diritto delle piattaforme digitali a documentare il territorio. La prossima udienza, fissata per il 2 ottobre, potrebbe segnare una svolta, con la possibilità che il Tribunale di Lecce proponga una soluzione conciliativa o si esprima con una prima decisione di merito.
In attesa del verdetto, il caso Gallipoli riporta all’attenzione dell’opinione pubblica il delicato equilibrio tra innovazione tecnologica, diritto all’informazione e rispetto della privacy individuale. Il risultato del processo sarà osservato con attenzione non solo dagli addetti ai lavori, ma anche da tutti coloro che utilizzano quotidianamente servizi come Street View e che, spesso inconsapevolmente, potrebbero trovarsi al centro di controversie simili. Una vicenda che, a prescindere dall’esito, contribuirà certamente a ridefinire i confini tra documentazione pubblica e tutela della proprietà privata nell’ecosistema digitale contemporaneo.