Huffington Post: class action dei blogger

Clamorosa iniziativa dei blogger affiliati all'Huffington Post: hanno deciso una class action contro il nuovo editore AOL e Arianna Huffington. Sul piatto un concetto: chi deve intascarsi i soldi di un aggregatore di notizie?
Clamorosa iniziativa dei blogger affiliati all'Huffington Post: hanno deciso una class action contro il nuovo editore AOL e Arianna Huffington. Sul piatto un concetto: chi deve intascarsi i soldi di un aggregatore di notizie?

Negli USA sta per scoppiare una battaglia legale che potrebbe segnare una svolta nella storia del rapporto fra blogger e informazione. A contendersi cifre a otto zeri una versione 2.0 della lotta tra Davide e Golia: da una parte, l’esercito di blogger che ha contribuito al successo dell’Huffington Post, l’aggregatore di notizie per eccellenza in tutto il mondo, e dall’altra il suo nuovo editore, AOL, che qualche mese fa ha portato a casa il giornale per 315 milioni di dollari. Tutti o quasi intascati dalla potente Arianna Huffington, dai giornalisti professionisti e dagli investitori.

Il problema sta tutto qui: secondo i blogger, che hanno deciso di intentare una causa collettiva contro l’editore e il giornale per 105 milioni di dollari, il loro lavoro è stato fondamentale per accrescere il valore del sito, dunque è ingiusto che non ci sia un minimo riconoscimento all’atto di una compravendita di questo genere.

Secondo Arianna Huffington, invece, il rapporto coi blogger è sempre stato chiaro:

“La causa non ha alcun fondamento. I nostri blogger usano il nostro sito per mettersi in contatto e far arrivare le loro idee e commenti al maggior numero di persone possibile. È come se gli ospiti di una trasmissione televisiva pretendessero di possederla.”

L’atteggiamento molto sprezzante della lady di ferro del giornalismo americano (famosa per la sua incrollabile fede democratica e accanita sostenitrice di Barack Obama) ha fatto infuriare la blogosfera americana, dopo che alla minaccia di uno sciopero rispose con “fate pure”:

“Bisogna fare una distinzione tra chi lavora per un giornale e chi scrive un blog per il giornale. Tutte le media company contano sulla collaborazione di persone non pagate”.

Sarà, ma l’ex blogger e sindacalista Jonathan Tasini, il classico osso duro (nel 2001 ha già vinto una causa contro il New York Times per la collaborazione di alcuni freelance) la pensa all’opposto e sta coordinando la class action che ieri, in un tribunale di New York, ha fatto ricorso chiedendo un terzo della cifra data da AOL per l’acquisto del giornale online. La sua dichiarazione al Guardian la dice lunga:

“I blogger del giornale sono stati trasformati in moderni schiavi nella piantagione di Arianna Huffington.”

Dal punto di vista di chi si interessa del Web, questo scontro è tremendamente interessante. Perché se è vero che i blogger hanno sempre saputo che non sarebbero stati pagati per i loro contributi, è anche vero che nessuno aveva detto loro che un giorno quell’aggregatore sarebbe stato acquisito da un gigante della comunicazione, in grado di modificarne anche la linea editoriale.

AOL per prima cosa ha firmato un contratto da 4 milioni di dollari l’anno alla direttrice, poi ha cominciato a spostare lo stile del giornale verso la SERP e meno verso la libertà dei blogger.

Anche molti blogger professionisti si sono detti indignati per questo comportamento, paragonando la Huffington a una moderna schiavista. Non male per una fan di Obama.

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